venerdì 30 aprile 2010

Il Galatino anno LXIII n° 8 del 30 Aprile 2010

- S. Michele a braccetto di S. Pietro -

L’elaborazione della sconfitta è un processo psicologico necessario ma difficile: richiede distacco e consapevolezza dei propri errori. Dopo una fredda analisi dei dati di voto, ci si dovrebbe interrogare sull’ubi consistam, “dove mi trovo”. Incremento o decremento del consenso, percentuale di realizzazione del programma proposto, opinione dei Cittadini sul governo della Città in termini di coerenza ed efficacia amministrativa.
Se si accetta che gli elettori abbiano sempre ragione quali che siano le loro scelte, ne deve conseguire che ad aver sbagliato in qualche modo siano le forze politiche uscite perdenti dal confronto.
Dopo i commenti post-elettorali, le opposizioni attendono in silenzio la proclamazione di consiglieri comunali ed assessori, e l’insediamento della nuova giunta. Con isolate eccezioni: a mano mancina, alcuni hanno criticato apertamente pur se a titolo personale l’aiuto al Sindaco venuto da un esponente della propria parte; e paventano improbabili do ut des, con un sarcasmo acidulo che induce al sorriso ma forse cela un genuino galatinese “uschiore”.
Si accusa apertamente una Signora (autrice celebrata di eccentrici comunicati stampa) perché, mollati i freni inibitori, avrebbe appoggiato il candidato Sindaco già avversario al primo turno con un “innaturale” abbraccio politico. Poi concretizzatosi fisicamente coram populo in piazza S. Michele, con seguito di lacrime di commozione: “Abbiamo vinto!”…
Credo che su questa episodica alleanza lo studio debba essere metapolitico, anzi precisamente antropologico. Chi conosce il milieu della frazione più popolosa di Galatina sa perfettamente che la forza di questi nostri Concittadini è frutto di estrema coesione, compattezza, solidarietà. Virtù che all’occorrenza prevalgono sullo schieramento partitico, come si è visto; e che forse difettano a noi Galatinesi.
Il nuovo Sindaco è una brava persona, esattamente quanto i competitori sconfitti. I segnali concreti di disponibilità all’ascolto, l’apertura al dialogo pragmatico e non pregiudiziale con l’opposizione, la volontà dichiarata di portare a termine i progetti ritenuti utili ereditati dalla precedente amministrazione: sono passi iniziali che favoriscono la cauta benevolenza dell’opinione pubblica.
Un quadro più preciso scaturirà dal giudizio sullo spessore umano e politico, e sul dinamismo del futuro esecutivo; sulla cui formazione il Primo Cittadino sembra mostrarsi tetragono ai “suggerimenti”.
E fa bene: un atteggiamento diverso sarebbe censurato severamente.




La cicogna e gli uccelli paduli - 29 Aprile 2010

Gentilissimo Professore,
Le racconto un episodio minimo di cui sono stato testimone.
Percorrevo in auto questa mattina lo svincolo che dall’Aeroporto Militare porta alla superstrada Gallipoli-Lecce. All’improvviso una enorme ombra bianca si è alzata dai campi spiegando le ali ed ha attraversato a pochi metri d’altezza la mia corsia: era uno splendido esemplare di cicogna. Chi era con me, dopo un attimo di perplessità, ha confermato. Era precisamente il grande volatile, che non ho mai visto prima nelle nostre zone; credo infatti che non faccia parte dell’avifauna stanziale del Salento, è probabile che l’esemplare avvistato fosse soltanto di passaggio.
Per mia natura cerco sempre di interpretare i piccoli e grandi avvenimenti della vita traendone spunti di riflessione.
Converrà con me, caro Professore, che i paduli, temutissimi neri rapaci dal volo radente, già oggetto di ironie pasquiniane, sembrano non imperversare più per i cieli galatinesi. Mi piace pensare che una pacifica cicogna dal piumaggio candido li abbia allontanati per sempre.
La saluto cordialmente!

venerdì 16 aprile 2010

Il Galatino anno XLIII n° 7 del 16 Aprile 2010

In bocca al lupo, autista, ed occhio alla strada
Ed ecco che abbiamo un pilota nuovo, scelto tra cinque concorrenti dopo accurata selezione. Temprato dalla competizione coi colleghi, è un tipo pugnace; al momento questa è la dote più importante per noi. Tuta ignifuga, guanti e casco: tutto perfetto, nel classico fiammante “rosso Ferrari”.
C’è un problema, però: ai nastri di partenza non lo attende l’abitacolo angusto di una Formula 1, gli stiamo affidando lo sterzo di un arrugginito OM Tigrotto, un autocarro degli anni ’60, quelli sempre stracarichi di masserizie, che a volte arrancano per le nostre vie seminando code e fumi nerastri di “nafta” incombusta. Per fortuna Alberto il meccanico ne ha curato con scrupolo la manutenzione per ben 7 mesi…merita un grazie per la sua competenza disinteressata, se il veicolo d’epoca esce oggi dal garage e tiene la strada, nonostante tutto.
Si comprende che non è una gara di velocità. Semmai bisogna condurre prudentemente la vecchia ferraglia a destinazione, cercando di non perdere il carico per via, e contando sul pochissimo gasolio rimasto nel serbatoio. Il compito non è facile, visto che in cabina di guida un giovanotto vivace pretenderebbe di suggerire percorso e velocità. Non solo, strada facendo son saliti altri passeggeri, approfittando della lentezza del camion e della generosità del conducente. È così, mai che si possa decidere itinerari e stile di guida in assoluta autonomia e sicurezza…è un copione già visto.
Nel recente passato, in troppi hanno tirato il freno a mano, qualcuno ha trafugato la merce dal cassone sostituendola con spazzatura pagata a peso d’oro. Altri ancora son saltati giù prima che lo sfiatato Tigrotto sbandasse ed uscisse fuori strada. Sedeva alla guida una ragazza simpatica, due mani gentili adatte ai ferri sterili più che ai rozzi comandi di un mezzo pesante, sbilanciato già in partenza.
Non vorremmo rivedere incidenti di percorso. Paghiamo tutto noi, carburante, manutenzione ed assicurazione: e la Compagnia ci avverte che stavolta non rifonderà più eventuali danni.
In bocca al lupo, autista, ed occhio alla strada.

martedì 13 aprile 2010

Ad angolo retto - 10 Aprile 2010

Leggo una critica del giovane De Donno e continuo a sperare: non tutti hanno mandato il cervello all’ammasso televisivo di Grandi Flagelli ed Isole degli Infami. È una gioia dello spirito constatare come si riesca ancora a stimolare un confronto sulle idee. Non aspettavo approvazione al mio dire, essendo fin troppo chiaro che scuola ed università preparano i migliori al ragionamento autonomo e brillante, però secondo le ben note liturgie della dottrina ufficiale. Per chi (come lo scrivente) vorrà farlo, ci sarà poi tempo e maturità per scartabellare con furia iconoclasta tra le pagine nascoste della storia ed approfondire fatti che è bene non siano divulgati, in ossequio alla cultura politica dominante. Ad esempio per festeggiare degnamente i 150 anni dell’Unità, scoprendo la barbarie savoiarda nel Meridione. Non sia mai che il Popolo bue prenda coscienza della verità vera, questa conturbante Salomè che si spoglia dei suoi sette veli solo per gli occhi di chi la desidera ardentemente.
Democrazia e dittatura, dunque. L’aborrito ventennio costituisce sempre la pietra di paragone per questi nostri felicissimi, democratici anni. Viviamo in un Paese libero della libera Europa: sulla cui costituzione, sulla cui moneta unica, sulle cui leggi sovrane e sovranazionali, nessuno però ha chiesto il nostro parere. Semplicemente, ci sono state imposte. Si chiami periodicamente il Popolo festante e votante a ratificare decisioni già prese a Roma, Bruxelles o Francoforte, gli si dia l’illusione di poter scegliere, mai con un referendum propositivo. Quello sarebbe un azzardo antidemocratico.
Dittatura e democrazia, allora, con una terza “d”, quella della dignità di un Popolo che è venerata memoria del passato. Se ne è avuto un sussulto flebile grazie ad un episodio scientemente sottovalutato della nostra storia, quello scontro di Sigonella che, a mente fredda, è il canto del cigno, la riabilitazione postuma di un ladrone tra ladroni molto peggiori di lui ma non altrettanto coraggiosi, perciò ancora a piede libero. La schiena ben dritta a difendere il diritto nazionale contro la prepotenza dell’alleato USA gli valse una congiura eterodiretta di palazzi politici e giudiziari mai abbastanza indagata, e la successiva deposizione; poi venne la morte in esilio. Furono i semi velenosi di quella farsa incompiuta che è stata “Mani Pulite”. Ad altro, che in difesa della Patria osò sfidare le usurocrazie angloamericane, ma con tempra morale ben superiore, il destino impose di pendere dalla tettoia di un distributore a Milano. La Società delle Nazioni (oggi ONU) gli rimproverava, prima con le sanzioni poi con la guerra, quella politica autarchica e coloniale che ai “buoni” (Inghilterra, Francia, Stati Uniti) era permessa con la violenza e senza troppe remore. Raccontano le cronache che non un centesimo cadde dalle tasche di quel cadavere penzolante.
Dignità, dicevamo: ma veniamo ai giorni nostri. Siamo in questa Europa bancaria e finanziaria, gigante economico, nano politico e militare. Però siamo tranquilli. La sicurezza dei nostri confini è affidata alle nostre Forze Armate ma anche, in outsourcing, alla paterna vigilanza americana con le sue basi sul nostro territorio. Compresa Vicenza, imposta agli stessi Vicentini recalcitranti.
È spiacevole ma necessario per il discorso complessivo che facciamo, ricordare l’episodio del Cermis. Un pilota dei marines di stanza ad Aviano, in vena di acrobazie, tranciò col suo jet il cavo di una funivia. Era il 3 febbraio 1998, morirono 20 persone in una cabina precipitata al suolo da 80 metri. Quel bravo cowboy tornò tranquillo al suo ranch, in barba alla Legge dello Stato ospitante. E si rinnovi pure il ricordo dell’eroe Nicola Calipari, stroncato da una sventagliata di mitra del “fuoco amico” americano in Iraq, mentre portava in salvo una giornalista italiana. Anche lì nessun colpevole affidato alla giustizia.
Non va bene turbare l’idillio coi nostri amici tanto premurosi e riconoscenti, verso di noi alleati fedeli sotto governi di ogni colore. Sempre pronti ad intervenire militarmente in difesa dei supremi interessi delle democrazie, tanto in Bosnia (esecutivo D’Alema) che in Afghanistan ed Iraq (governi Prodi e Berlusconi).
Si va a difendere la libertà: i giacimenti di petrolio sono un obiettivo secondario…
Alleati fedeli, di quella fedeltà un pochino vassalla e servile che tanto piace agli USA ed al loro nuovo presidente. Essendo democratico e nero, continuerà nella stessa politica estera aggressiva di chi lo ha preceduto, ma col lasciapassare della simpatia del giovane di colore che si è fatto da sé, per giungere al governo dell’Impero. Una spruzzatina di terzomondismo, due cucchiaini di demagogia, ed il cocktail è prontamente servito all’opinione pubblica mondiale. Giovandogli inoltre la compagnia di una moglie avvenente, come rimarcato dal nostro Premier, notoriamente sensibile ai richiami del gentil sesso.
Tanto affidabili noi Italiani, in veste di alleati e domestici, da meritare l’occhiuta attenzione elettronica di un sistema spionistico chiamato Echelon, di cui fanno parte anche l’immancabile Inghilterra ed altri Paesi anglofoni. Un grande orecchio satellitare che intercetta e decritta ogni singola trasmissione elettronica del Paese osservato, dalle e-mail alle telefonate via cavo o cellulare. Ogni argomento sensibile, comprese comunicazioni militari, segreti industriali ed altro, non è al riparo da questo sistema. Il che vuol dire, ad esempio, che le proprietà intellettuali e le scoperte italiane sono alla mercè dei nostri “amici”.
Sarebbe troppo lungo mostrare per tabulas cosa è davvero questa nostra democrazia di stampo occidentale, e troppo mi sono dilungato nelle mie farneticazioni. Ho approfittato della Vostra pazienza, ma volevo soltanto raccontare quel che si intuisce grazie ad un occhio allenato: appare una dittatura che impone il Nuovo Ordine Mondiale, facendoci balenare una libertà fittizia. Ma noi imperterriti, a combattere in corteo i fantasmi del passato, nel nome della sacra epopea resistenziale.
Terminiamo in allegria. I Giapponesi sono gente educata, ogni loro incontro inizia e si chiude con un inchino accennato con eleganza. Noi Italiani siamo politicamente ancora più corretti, le nostre riverenze agli alleati americani descrivono un angolo retto tra busto e gambe: a tutto vantaggio della dignità di cui si parlava dianzi.