domenica 26 settembre 2010

Dalle Epistole di Pasquino - 26 Settembre 2010

Governava il villaggio Giovanni l’Alchimista, della tribù dei Nohiti, succeduto a Cassandra la Nobile succeduta a Giuseppe il Triplo. In quei giorni egli aveva comandato architetti ed operai ai lavori nella spianata del Tempio. Così è scritto.
Ed egli disse: “Vi avevo promesso fiori, ed ecco i fiori; panchine avevo comprato per voi, ora sedete sulle panchine presso il nostro Tempio Grande. Dove sostavano i carri dei bivaccanti empi ed ubriachi, regnano ordine e pulizia. La profezia di Cassandra la Nobile si è avverata”.
Vennero moltitudini di cittadini e forestieri sorridenti, videro che questa era cosa buona e cantarono a lui le lodi. Alleluja alleluja.
Giuseppe il Leguleio passava sul suo carro splendente, diretto alla locanda. E fermato Giovanni l’Alchimista, gli chiedeva con forza di spostare panchine e fioriere per sistemare comodamente il suo veicolo sfarzoso. Allora Giovanni: “Credi forse tu di essere superiore alle leggi e migliore di questi?” disse, indicando le genti accorse alla spianata del Tempio. Così dicono le fonti.
Sia lode in ogni tempo a chi rispetta le Leggi. Alleluja alleluja.

sabato 25 settembre 2010

Impertinenti allusioni - 25 settembre 2010

L’ex Direttore Generale chiede il pagamento di 20000 euro all’Amministrazione Comunale, quale saldo dell’indennità per ferie non godute. Sia allora accordato godimento tardivo all’alto funzionario, corrispondendo le spettanze reclamate in forza di un regolare contratto, a suo tempo firmato dalle parti. Valenza giuridica che basterebbe da sola a legittimare la richiesta ma, ad adiuvandum, il Nostro ricorda in un’intervista ad un giornale locale di aver ottenuto, col proprio onesto interessamento, lo stanziamento in favore di Galatina di somme cospicue per opere di pubblica utilità (Notti della Taranta incluse); l’affermazione lascerebbe supporre che quei finanziamenti fossero destinati altrove.
Per questa fortuna inattesa i Galatinesi nutrono imperitura (e munifica) gratitudine, sebbene a loro sia invece preclusa ogni goduria in veste di contribuenti delle esauste finanze cittadine. I Dirigenti comunali risolveranno il caso con qualche geniale artificio contabile perché, come il celebre borsellino di Catullo, il fondo cassa del Comune plenus est aranearum. Sarebbe a dire che è accogliente dimora per ragni e ragnatele.
Volo pindarico, ma non troppo: il pensiero va ai 500 dipendenti della British American Tobacco, a quelli del depuratore ASI ed a tutti i padri salentini e galatinesi senza lavoro e con famiglia a carico.
E nel ricordo scorrono pure i fotogrammi famosi de “I Vitelloni”, quando un gaudente Alberto Sordi, passando in auto vicino ad un gruppo di operai stradali, li spernacchia: “Lavoratori…tiè!”. Accompagnando la frase col classico gesto dell’ombrello.
Non si scorgano collegamenti maliziosi in queste considerazioni accostate casualmente: la barocca prosa pasquiniana non suggerisce allusioni impertinenti.


venerdì 24 settembre 2010

Il Galatino anno XLIII n° 15 del 24 settembre 2010

In volo sul Salento
Si decolla da una pista dell’entroterra, con un piccolo aereo da turismo. Prendiamo quota veloci, tra uliveti verde scuro e masserie baciate dal sole, circondate da invadenti distese di pannelli fotovoltaici che, dall’alto, riverberano luce riflessa. Sorvoliamo una splendida collina ricoperta da macchia mediterranea e da una selva di tralicci radiotelevisivi e telefonici: come cipressi metallici, da Collepasso alti e schietti scendono a Tuglie in duplice filar. Dritti verso le spiagge, tra le Conchiglie e Rivabella: sotto di noi la piccola Abbazia di S.Mauro eretta in illo tempore sulla collina omonima, al centro di un brullo paesaggio dove l’asprezza del luogo è inaridita ulteriormente da incendi frequenti della bassa vegetazione. Ai piedi della modesta altura, un locale accorsato: a dimostrare che sacro e profano debbono convivere a forza. Più giù, proprio sul mare, la mano prepotente dell’uomo impone due enormi falansteri, incubi architettonici della fantasia megalomane di qualche oscuro progettista, cui la natura sarà apparsa ostile.
Siamo a fine stagione: qui il mare ha mutato il naturale verdeazzurro assumendo un colore giallo paglierino, simile a quello di certi campioni che, in contenitori di plastica, la mattina presto affidiamo al laboratorio analisi. Probabili cause, la presenza estiva di migliaia di villeggianti e la contemporanea assenza di depuratori.
Appena un minuto di volo tranquillo (c’è calma di vento) ed eccoci su Gallipoli, la greca “città bella”. Parliamo ovviamente del borgo vecchio sull’isola, avendo voltato lo sguardo a destra per ignorare un grigio palazzo di trenta piani costruito a ridosso di una fontana bimillenaria.
Dirigiamo nuovamente verso l’interno, descrivendo un semicerchio. Ciminiere alte svettano in lontananza, mamme premurose che assistono Galatina, Maglie ed i loro fratellini seduti intorno, Soleto, Corigliano, Sogliano, Cutrofiano. Purtroppo hanno la sigaretta in bocca queste madri snaturate; fumano in presenza dei figli, non hanno perso il vizio. E si guardano allo specchio, ne hanno molti intorno, piantati nel terreno a catturare forza dal sole, e togliere luce e vita alla vegetazione che sempre ha nutrito Terra d’Otranto. Tanta energia inutile producono questi specchi, ma tanti utili per anonime tasche settentrionali.
Ancora più in là, verso l’Adriatico, distese a perdita d’occhio di ulivi secolari, autentici patriarchi vegetali; e tra loro, come intrusi in famiglia, lunghe teorie di pale eoliche. Queste muovono le braccia con lentezza, quasi per salutare da lontano qualcuno che parte. Forse turisti che tornano a casa ubriachi di pizzica e mieru, forse i nostri giovani studenti e lavoratori che vanno a cercare fortuna ed a crearne per altri.
Scendiamo dolcemente. A terra le ferite inferte al nostro Salento sembrano scomparire.

domenica 19 settembre 2010

Signor Presidente - 19 Settembre 2010

Signor Presidente,
Noi non festeggiamo. Non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo celebrare “questa” unità, per rispetto alla memoria dei nostri Martiri: le centinaia di donne, uomini, vecchi e bambini massacrati in una guerra non dichiarata, con una annessione subita e non richiesta. Un secolo e mezzo, signor Presidente, non cancella l’orrore. La Verità è un fiume sotterraneo, scorre in profondità ma torna sempre in superficie.
Uno Stato sovrano, ottimamente amministrato con poche e ferme leggi, con appena 5 tasse leggere; uno Stato in cui il rapporto tra i cittadini ed il loro Re era improntato a rispetto, amore e giustizia; uno Stato che era tra i migliori in Europa per bilancio e sviluppo economico, per rivoluzionari esperimenti sociali molto in anticipo sui tempi (S.Leucio Le ricorda qualcosa?); uno Stato pacifico con i suoi vicini, non colonialista, ma pronto a difendersi dalle aggressioni esterne se portate lealmente: ciò che non successe nel 1860, quando uno piccolo regno indebitato e sempre sconfitto nella sua storia, con menzogne e sobillazioni massoniche partite dall’Inghilterra (per suoi interessi) fu da questa finanziato e spinto all’invasione. Le ricchezze del Regno delle Due Sicilie ripianarono i debiti dei Savoia e dei loro Ministri, i celebrati “eroi” risorgimentali…permetteteci un sorriso ironico. Il nome Cialdini Le rammenta per caso delle stragi di civili a Pontelandolfo e Casalduni? O solo Marzabotto, Kappler e Raeder sono infamie da commemorare? Avete chiamato “Re Galantuomo” un donnaiolo indebitato, usurpatore di un Regno non suo ma di quello che chiamava “caro cugino”; avete deriso “Franceschiello”, il giovane Sovrano che insieme alla moglie diciottenne difese sino all’ultimo la sua Gente, combattendo sugli spalti di Gaeta coi suoi soldati. Un gigante della Storia se paragonato al penultimo Re Savoia, che abbandonò la Capitale invasa per Brindisi…Quella dinastia di usurpatori, Signor Presidente, si è evoluta nel tempo: il migliore di tutti è il suo ultimo esponente, un fatuo giovanotto che appare alla TV di Stato, pagato col nostro canone.
Noi ricorderemo il lager di Fenestrelle (20000 soldati deportati e lasciati morire di stenti), la nostra Resistenza (che Voi chiamate brigantaggio), la nostra diaspora (i 20 milioni di emigranti che pagarono tasse pesantissime persino per lasciare questo “paradiso” che era la nuova Italia). Stupisce che un Meridionale, un napoletano di nome e d’origine come Lei, non riconosca ed assimili queste tragedie ai lager nazisti, alla Resistenza che definite fondamento di questa Repubblica, alla Shoah che ricordate nelle scuole: sono tragedie troppo lontane nel tempo, oppure fastidiose incrinature nella Turris Eburnea in cui vive oggi la nomenklatura italiana? In quella torre, Signor Presidente, oggi abitano insieme a Lei delle persone che dicevano di volere la secessione (ed i loro spregevoli ascari nostri conterranei). È fin troppo evidente che si trattava di un trucco per continuare a sfruttare il Sud: e dispiace che anche un solo centesimo delle tasse meridionali contribuisca a finanziare la “scuola padana” della signora Bossi, mentre non è certo che molte Università del Sud quest’anno possano iniziare i corsi (grazie on. Gelmini!). Le potremmo raccontare di questo Meridione inquinato da rifiuti “allogeni” (nordisti non si può dire) ed invaso da impianti “ecologici” per la produzione di energia da fonti alternative, le cui società di gestione sono tutte in Lombardia e Piemonte (dove poi vanno gli utili); Le potremmo dire delle industrie meridionali privatizzate, spezzettate e vendute ad imprese del Nord o straniere, giusto per il tempo di ottenere finanziamenti e poi chiuse mettendo sul lastrico centinaia di famiglie. Le potremmo persino raccontare delle associazioni mafiose i cui proventi fanno la fortuna di tante imprese del Nord. Noi invece ricordiamo i nostri Eroi morti combattendo le mafie, sindacalisti, magistrati e sindaci.
Ma sappiamo, Signor Presidente, che Lei non leggerà mai queste righe. Né vogliamo disturbare il clima di festa (alquanto fasullo ed ipocrita, ci permetta di dire). Sappiate però che a dissentire siamo tantissimi, e cresciamo di numero giorno per giorno. Abbiamo idee politiche le più diverse, anche opposte, ma ci unisce l’origine, e l’amore ed il rispetto per il nostro Sud: ci chiamiamo “Compatrioti”, tra Noi. Vi guardiamo in silenzio (per adesso), sappiamo che la nostra idea per un nuovo Meridione autonomo avrà successo, non subito ma sicuramente.
Allora celebrate questa “vostra” unità, figlia di una menzogna plurisecolare, spendete pure quei fondi per medaglie e striscioni, commemorazioni e sfilate di bersaglieri. Noi, da parte nostra, reciteremo con l’indimenticato Mario Merola “Felicissima sera, a tutti ‘sti signure ‘ncravattate”: non Vi appaia irrispettoso, Signor Presidente. Ma, se possibile, lasciateci in pace.

mercoledì 15 settembre 2010

La Colacem mi ha convinto - 15 Settembre 2010

Professore carissimo,
da buon Galatinese ho seguito con attenzione la polemica sull’inceneritore. Le prime risposte che la Direzione Colacem fornisce alle Sue domande mi tranquillizzano, davvero.
Ciò premesso, mi piace ricordare che il Salento è, da millenni, terra d’accoglienza e d’inclusione, di genti e di culture: qui vennero Illiri e Greci, Romani e Bizantini, Normanni, Saraceni e Turchi (con qualche intemperanza, se ricordo bene, ad Otranto nel 1480…). Qui sbarcarono pure Spagnoli e Francesi; stemmo ottimamente con i Borbone, ma vennero i Piemontesi a razziare il razziabile, neh! Accogliemmo anche loro. Scese persino, coraggiosamente s’intende, un reuccio savoiardo in fuga da Roma occupata dai Tedeschi. Non ebbe a lamentarsi dell’educazione dei Salentini.
Perciò concludere che siamo gente ospitale non è da presuntuosi, ma solo una constatazione.
Allora perché non accogliere comodamente qui da noi anche un’agiata famiglia di industriali di Gubbio, al completo, all’ombra o nel raggio d’azione di una ciminiera di 100 metri d’altezza?
Con vivissima cordialità,
Pasquino Galatino

venerdì 10 settembre 2010

Il Galatino Anno XLIII n° 14 del 10 Settembre 2010

De profundis per la Politica
È dal tramonto della cosiddetta Prima Repubblica che le estati italiane sono movimentate da oziose polemiche di basso profilo; si è indotti a pensare che siano create ad arte anno dopo anno per spezzare la monotonia vacanziera del trinomio sole – mare – montagna, ma soprattutto per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sui protagonisti politici, distraendola dalle questioni davvero importanti.
Legge di commercio impone che, quando un prodotto inizi a stancare il consumatore, si debba intervenire con opportune modifiche per rilanciarne l’appetibilità sul mercato: la “politica politicante” non sfugge alla regola. Ricordiamo il Bossi in canottiera che anni fa incitava “Secessione!”, proprio mentre i dissidenti interni rimproveravano alla Lega Nord di essersi imborghesita una volta al governo. L’urlo finto-indipendentista ricompattava la base intorno al leader ed ai suoi colonnelli.
Estate 2010 caldissima per il Primo Ministro. Logorato da alleati riottosi, ispirati non sappiamo quanto gratuitamente dall’ideale nobile della questione morale, egli li pone davanti all’aut-aut “Prendere o lasciare”: è agevole esercizio di stile rinfacciargli una visione mercantilistica della politica e perciò apparire istituzionalmente eleganti. Lo appoggiano come di consueto i laudatores dei giornali di famiglia con becere campagne denigratorie di taglio comaresco contro i “traditori”. Ribattono i tabloid della gauche caviar, la “sinistra al caviale”, mettendo in ridicolo la crassa ignoranza degli uomini di governo. Siamo non già alla frutta, ma all’ammazzacaffè della cultura politica, in un clima da Basso Impero. Abituato all’unanimismo bulgaro però non al ricatto, il Presidente stronca sul nascere scenari simil-prodiani di indebolimento progressivo del governo: se non si trova un accordo, meglio le urne il prima possibile.
Anche a novembre, periodo inusuale per consultazioni elettorali. Mai ipotesi fu più condivisibile: il mese tradizionalmente dedicato al culto dei defunti, ben si presterebbe al funerale della Politica. Quella con la “P” maiuscola.

Le parole inutili - 10 Settembre 2010

Gentile Professore,

Si può avvertire l’inutilità di scrivere, quando si capisce che il proprio dire non modifica le cose neppure minimamente (se mai ci si fosse illusi di questo). Che poco o nulla rimane di concreto, al di là di un vacuo, effimero e molto provinciale quarto d’ora di celebrità mediatica ottenuta con saltuarie riflessioni internettiane, declinate a volte in maniera umoristica, a volte seria. Si può lasciar intendere di aver esaurito citazioni e motti celebri latini, assimilati e resi patrimonio personale negli anni degli studi giovanili, e di non aver più inchiostro da stendere.

Si possono persino affrontare con animo umile questioni tanto al di là della nostra modesta capacità di comprensione (signoraggio bancario, nuovo ordine mondiale, segreti di Stato sul Risorgimento ancora a 150 anni di distanza) da apparire per quello che realmente sono, argomenti tabù per tutti i mezzi di informazione, doverosamente preclusi all’opinione pubblica perché potenzialmente pericolosi, quindi riservati ad una ristretta cerchia di eletti che negano e minimizzano.

Succede poi di sentirsi bloccati da questa strana malinconia autunnale, stagione meteorologica ma anche della vita. Forse dovrei lasciar perdere per qualche tempo il Leopardi de “L’infinito” e rileggermi l’adrenalinico Henry Miller di “Tropico del cancro”.

Cordialmente,

Pasquino Galatino