venerdì 28 ottobre 2011

Il Galatino anno XLIV n° 17 del 28 Ottobre 2011

Considerazioni equilibrate solo da Pasquino Galatino

Alcuni tentativi di pronunciamento del legislatore su questioni concernenti la sfera individuale, come l’eutanasia passiva, che dovrebbero restare intangibili dall’ordinamento giuridico, a mio avviso possono considerarsi evidenti ingerenze nella vita privata. Se in piena coscienza, consapevole di una incipiente malattia degenerativa che possa rapidamente portarmi allo stato vegetativo irreversibile, stabilisco per iscritto che in quel caso i medici non debbano accanirsi terapeuticamente per tenermi in vita, la legge non dovrebbe impedir loro di dare attuazione alla mia volontà. So bene che la dottrina cattolica ufficiale dice altro, lo si è visto in casi recenti e dolorosi, ma il magistero della Chiesa dovrebbe parlare alla coscienza del singolo credente, non condizionare Cesare, tenuto a legiferare con spirito laico ed imparziale. Questo il mio pensiero, certamente opinabile. Prendo atto che tanti uomini di religione hanno il mio stesso orientamento in materia, chiaro segno che la Chiesa non è un monolite appiattito sulle esternazioni di Bagnasco.

Premesso questo, mi piace riconoscere che in questi due anni le mie facezie, accolte con generosità da “il Galatino”, non hanno mai subìto censure, anche quando le posizioni sono state divergenti od opposte a quelle delle firme del nostro foglio. Questo stile appartiene ad una editoria che voglia non solo dirsi libera, ma esserlo nei fatti, particolarmente mentre l’informazione nazionale è imbavagliata e reticente. Di più: argomenti seri e profondi sono stati sì sviscerati, ma trattati con la leggerezza e l’autoironia propria di noi Galatinesi, talvolta ai limiti della dissacrazione. Però sempre con il rispetto dovuto alle altrui opinioni, almeno pari a quello preteso per le nostre. Direttore, in nessuna occasione mi è parso che i Tuoi interventi fossero meno che educati, sebbene pungenti; ed una battuta innocente sull’insigne biblista Farinella non può connotarsi come un delitto di lesa maestà. Mi riesce poi difficile immaginarTi con fez e camicia nera, ducetto “in sedicesimo” incline al manganello, anzi “clerico-fascista”: anatema che, maestra la Bindi, ogni buon democratico lancia per catalogare chi non si uniforma al pensiero politicamente corretto. A meno che il vetusto epiteto Ti sia stato affibbiato per la grave colpa di ignorare nome, scritti e gesta di ognuno dei “sacerdoti del dissenso”. Penitenziagite!

Ma ora scusami, devo chiudere in fretta questo pezzullo e correre: l’ultima marmellata di ricino che m’hai subdolamente propinato, dispiega già i suoi effetti malefici.

giovedì 13 ottobre 2011

Il Galatino anno XLIV n° 16 del 14 Ottobre 2011

Ma cos’è questa crisi?

La famosa casalinga di Voghera, mitologica incarnazione dell’italiano medio, richiesta di un parere direbbe che “Si, siamo in crisi e pieni di debito”. Ignorando se questa affermazione corrisponda o meno a verità, ma “Lo dice la TV” e tanto basti a fugare dubbi eventuali. Ogni notizia diventa dato certo ed inconfutabile quanto più viene reiterata dai media, indipendentemente dal fatto che descriva o meno situazioni reali.

Mosso da insana curiosità, lo scrivente ha cercato di capire il meccanismo per il quale ad ogni nuovo nato nel Bel Paese venga attribuita la sua parte di debito pubblico, ancor prima che possa nutrirsi del latte materno. Dunque vediamo: abbiamo un soggetto privato, chiamato Bankitalia, i cui azionisti (i proprietari, in buona sostanza) sono altri soggetti privati (altre banche italiane partecipate, cioè possedute in parte, da banche straniere). En passant, Bankitalia avrebbe pure il compito di vigilare, tramite apposito organismo interno, sugli altri istituti bancari: configurando lo strano caso del controllore in mano ai controllati. Su questa, chiamiamola così, singolarità, già potremmo sbizzarrirci, ma proseguiamo nelle scoperte. Bankitalia, non sappiamo se per grazia divina o per altro più prosaico beneficio, ha l’esclusiva dell’emissione di cartamoneta. Vi chiederete quanto venga pagata dallo Stato (cioè da noi Cittadini) per questo facile lavoro tipografico. Bene, tenetevi forte: lo Stato corrisponde un aggio percentuale sul valore nominale delle banconote (e fin qui ci arriviamo), più titoli del debito pubblico per importo pari. Proprio così: Bankitalia trasforma fogli filigranati in denaro e riceve ugual valore in BOT, CCT e quant’altro (ossia “pagherò” nostri e delle generazioni italiane a venire), che poi rivende (lucrandoci) sui mercati finanziari in Italia ed all’estero. In questo modo ha origine e cresce in maniera esponenziale lo stratosferico debito pubblico nazionale. Allora, obietterete voi, quel lavoro di stampa non potrebbe farlo direttamente lo Stato? Me lo sono chiesto anch’io, candidamente, ricordando la cara vecchia banconota da 500 lire che recava scritto “Repvbblica Italiana”, mentre gli altri tagli avevano impresso “Banca d’Italia”, e l’attuale valuta riporta “BCE”. La differenza è sostanziale: vuol dire che prima lo Stato era proprietario di quei soldi, ora non più. Questo gioco di prestidigitazione non è nato in Italia (una volta tanto), ma nelle nazioni anglosassoni sedicenti fari di civiltà, e poi imposto su scala planetaria con le guerre finanziate dalle stesse banche beneficiarie della furbizia che stiamo raccontando.

Ora, avviene pure che ci sia qualcuno che capisce il trucchetto e si ribella al sistema. Qui da noi? Nossignori, nella lontana, quasi disabitata Islanda dei ghiacci: lì la gente ha processato e condannato banchieri e politici collusi, rifiutandosi di pagare un debito creato in suo nome dagli squali della finanza. Poi ha insediato al potere giovani scelti democraticamente in assemblee pubbliche, persone mai coinvolte nel vecchio regime. Ma persino nell’America governata dalle banche d’affari (alla cui scuola si sono formati Draghi, Prodi & c.), un certo John Kennedy tentò di restituire al popolo la sovranità sulla moneta, in forza di un emendamento della Costituzione USA. Fu fermato a Dallas nel novembre 1963.

In Italia, banche e finanza pasteggiano allegramente ad un tavolo presso cui hanno relegato la politica al ruolo di cameriera sciocca, in attesa di prenderne il posto al governo (vero Montezemolo, Profumo ed amici vari?). Lontano dalla buvette di Montecitorio, Pantalone digiuna e paga il conto.

lunedì 3 ottobre 2011

Il Galatino anno XLIV n° 15 del 30 Settembre 2011

Minima immoralia

Veniamo a sapere che l’ imprenditore agli onori delle cronache giudiziarie di questi giorni, avrebbe affittato un volo privato da Bari Palese alla Sardegna per recapitare freschissime mozzarelle pugliesi ad una villa del Premier. Costo della consegna a domicilio, appena 5.000 euro: chi di noi non farebbe disinteressatamente la stessa cosa per un amico generoso e le sue giovani ospiti?

Il pettegolezzo rinnova il nostro menu troppo provinciale: cambia mezzo di trasporto l’umile “mozzarella in carrozza”, ora “mozzarella in jet”, per strizzare l’occhio alla cucina internazionale in auge sulla Costa Smeralda. Sorge il dubbio, conoscendo il destinatario della prelibatezza di arte casearia, che nel latticino delle Murge abbiano scoperto insospettate proprietà afrodisiache. Ci informerà, se del caso, “la Repubblica” con l’immancabile trascrizione delle prossime intercettazioni: per chi ne fosse a corto, il quotidiano fornirà in allegato una bustina di indignazione liofilizzata (aggiungere acqua, quanto basta) con autografo di D’Avanzo.

Afferma l’ineffabile Roberto Castelli di essere povero da quando ha iniziato a far politica, dichiara solo 145.000 euro. Pronta mobilitazione dei pensionati INPS, disposti ad una colletta in favore del meschino: anche in momenti di crisi, la generosità degli italiani si muove per i meno fortunati.

Intanto una società di rating, la stessa che dava la massima affidabilità alla Lehman Brothers poche ore prima del fallimento, declassa il debito pubblico italiano. In un paese sovrano, un giudizio del genere sarebbe stato accolto a pernacchie. Qui no: per sua stessa ammissione, il Premier governa “a tempo perso”. Hobby alquanto esoso, almeno per le tasche del contribuente.