sabato 25 febbraio 2012

Il Galatino anno XLV n° 4 del 24 Febbraio 2012

Posto fisso e motto fesso

Nel 1905 Sigmund Freud pubblica "Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio", un saggio sulle battute umoristiche. Il teorico della psicoanalisi illustra l'origine del motto di spirito e rivela il meccanismo che stimola il riso nell'ascoltatore: un processo di codifica-decodifica dove il non-detto ha preponderanza e la metafora, l'allusione, rendono lecito manifestare ciò che di norma non lo sarebbe esplicitamente. Totò è stato un maestro con le sue invenzioni verbali e mimiche di grande comicità, moderne ancora oggi e mai volgari.
Per scatenare la risata, necessita che tra i soggetti coinvolti (chi pronuncia la battuta e chi ascolta) non vi siano ostacoli semantici, culturali ed ambientali, in modo che tutto concorra alla condivisione dello spirito umoristico.
Purtroppo ci sono i gaffeurs, generatori di comicità involontaria, come quel tizio che, alle esequie di un morto per incidente stradale, consolava i parenti a modo suo: "Meju cusì ca pesciu" (il fatto è realmente accaduto). Nel genere degli umoristi inconsapevoli annoveriamo un epigono dei "fini dicitori" d'avanspettacolo, sebbene di modi sobri ed espressione compunta, da titolare di pompe funebri. Il tizio ha affermato di recente che "Il posto fisso è noioso", dopo averne procurati un congruo numero, e tutti ben remunerati, al proprio pargolo.
Dati i tempi, nessuno si è divertito all'infelice boutade; anzi, non potendosi passare alle vie di fatto (penalmente perseguibili), solo qualche castima iettatoria è volata all'indirizzo dell'autore di cotanta fesseria.

giovedì 23 febbraio 2012

Galatina.it - 23 Febbraio 2012

Due cani abitano in piazza. Passano il tempo girovagando tra la farmacia, i bar e le banche. Fanno parte, per così dire, della fauna urbana, come i fastidiosi piccioni, ma a differenza di quelli sono benvoluti dalla maggior parte delle persone. Hanno carezze ed affetto, un veterinario se ne cura per puro spirito animalista; il cibo non scarseggia tra i generosi consumatori delle rosticcerie ed il retrobottega di un macellaio prodigo di ossa e scarti. D’estate il loro ritrovo abituale è al fresco dell’erbetta nelle aiuole della pupa.

Chiamiamoli, convenzionalmente, Piero e Pasquino. Il primo è un incrocio di media taglia, a pelo corto e chiaro. Allegro e spensierato, è un vero poeta della specie canina. Gli piace comporre, in prosa romantica ed in versi a rima baciata, che poi declama ispirato al pubblico eterogeneo di Galatina.it. Trasmette subito simpatia, persino quando si abbandona alla cujona nei confronti della politica locale. Recentemente, pensate, si propone quale vicesindaco di un candidato di peso (e che peso!): qualcuno prende la sua battuta impertinente sul serio. Può succedere, qui a Galatina.

Anche l’altro è un bastardo di razza indefinibile. Invecchiando, il mantello nero ha preso un colore grigiastro. Ha corporatura tozza ed obesa, il che farebbe supporre un carattere pacioso. Tutt’altro: la bestia invece è di indole malinconica, tendente al pessimismo. Anzi, ha la presunzione di “sapere” ed infarcisce i suoi latrati di citazioni latine, come un qualsiasi umano appena sgrezzato da studi classici; in realtà è un saputello che i suoi simili sopportano solo per tolleranza (segno distintivo della comunità canina) e non riesce a vedere al di là del proprio muso: che è comunque una considerevole distanza.

Le due innocue bestiole fanno gruppo nelle scorribande cittadine. Vittime predilette, le auto più grandi e lussuose che transitano in centro, in modo particolare quelle dai colori scuri, che immancabilmente inseguono abbaiando furiosamente. C’è chi vorrebbe interpretare questo strano comportamento come una sorta di sfida, di sberleffo al potente di turno, attaccato nel simbolo più appariscente del suo status. Ma forse è andare oltre quello che è semplice istinto, difesa del territorio.

Negli ultimi tempi è sempre più difficile sentir abbaiare il cane Pasquino (“requierant omnibus aures”, direbbe lui citando Catullo). Non sta bene? È ormai vecchio? Forse si. Ma potrebbe invece essersi accorto dei bocconi avvelenati sparsi in giro per la Città all’insaputa della gente, ed il suo appartarsi in silenzio potrebbe valere più di mille avvertimenti… per il cittadino-elettore (dal verbo latino eligo=scelgo) che voglia intendere propriamente le parole del mai troppo lodato Cataldo Motta.

venerdì 10 febbraio 2012

Il Galatino anno XLV n° 3 del 10 Febbraio 2012

Si, viaggiare

È necessario, ogni tanto, lasciarsi alle spalle qualche migliaio di chilometri. Una vacanza anche breve rilassa ed arricchisce la nostra cultura. Chi scrive mantiene un interesse quasi infantile per i posti nuovi e le lingue straniere, per le tradizioni ed i cibi diversi dai nostri.

Per un turismo masochistico, la Francia è l’ideale: in nessuna parte del mondo si può esser trattati con pari sufficienza e maleducazione. Questo è forse dovuto alla radicata convinzione dei francesi di vivere nel paese culturalmente più avanzato e più chic, un faro di civiltà di cui gli stranieri sono indegni visitatori. Verso gli italiani c’è una antica e mai celata antipatia ampiamente ricambiata, con una sola eccezione: il tradizionale asilo per i terroristi rossi, considerati ipso facto perseguitati da malagiustizia. La vostra banconota da 100 euro o la vostra carta di credito, al museo, al ristorante, in albergo, non avrà mai lo stesso valore come se a porgerla fosse un francese. Sarete sempre trattati sgarbatamente, da italiens, specialmente se il vostro accento tradirà l’origine. Dovrete considerare il merci pronunciato controvoglia e con il sopracciglio inarcato alla stregua di una benedizione papale. Ovviamente, la Francia è una nazione che il sottoscritto evita.

Più accogliente l’Inghilterra con il turista, forse perché da lungo tempo è una società multietnica. Londra è l’unica vera megalopoli europea, e non solo per dimensioni ed abitanti. C’è tolleranza per le storpiature straniere dell’inglese e per la gestualità latina che sopperisce alle difficoltà di comunicazione, ma l’italiano che mastichi la lingua si sente a casa. A differenza che in Francia, un sorriso ed i frequenti please e thankyou sono espressioni di politeness diffuse in tutti gli strati sociali. È un modo di relazionarsi che rende la vita urbana più piacevole a cittadini e turisti.

In Germania, Austria e nella Svizzera tedesca i modi educati (quelli che in Italia a volte giudichiamo ipocriti) sono indice di saper vivere e cosmopolitismo. Il “voi” è la regola tranne che tra amici e parenti, senza eccezioni, ed entrando nella mentalità teutonica si apprezza questo sincero rispetto per il prossimo. Il visitatore è generalmente ben accolto, anche se noi italiani interpretiamo il formalismo come desiderio di mantenere le distanze. Non è così, invece. Alcuni (per fortuna pochi ormai) si meravigliano dell’italiano che non sia chiassoso, indisciplinato ed eccessivamente galante con le signore; chi Vi racconta ha spiegato in comprensibile tedesco ad un uditorio sorpreso che non tutti noi siamo melomani, casinisti e morbosamente predisposti alla copula.

Bello viaggiare, altrettanto tornare a casa. Paragonare il mondo in continua evoluzione con la confortante sensazione di lentezza del sedicente Bel Paese: una nazione dove c’è una categoria di persone che non invecchiano mai. Entrare in questa eletta schiera, vuol dire essere un imberbe giovincello a 50 anni; a 70 è possibile, addirittura, diventare in due giorni prima senatore a vita e poi presidente del consiglio per meriti bancari. Ammettiamolo, in questo paese si campa a lungo e bene, da politico; con le parole di un noto pasticciere galatinese che descrive il suo impareggiabile fruttone: “Ed è bello, piace e diverte”.

venerdì 3 febbraio 2012

Galatina.it - 3 febbraio 2012

Piovono perle di saggezza, e pure gratis. Non si dica che il governo di Mario Monthy Python manca di senso dell’umorismo: se piange e fa piangere, sa anche far ridere. Il rampollo Michel Martone, enfant prodige di una famiglia bene, definisce “sfigati” i laureati dopo i 28 anni. Nella categoria potrebbero rientrare, per dire, anche persone che non hanno possibilità di farsi mantenere agli studi dai genitori; quindi lavorano e studiano, magari part-time e con stipendi da fame. Ma tutto questo Michel non lo sa, direbbe De Gregori.

Allenati dalle amenità del governo precedente, registriamo anche questa uscita simpatica di un giovane esponente del potere “nuovo”. La battuta si inquadra tra quelle definite da un epiteto piuttosto colorito, impronunciabile da gente educata. Tecnicamente, trattasi di “parola o fatto relativo a donna che fa commercio di sè”: sì, proprio quello che state pensando.