venerdì 26 aprile 2013

Il Galatino anno XLVI n° 8 del 26 Aprile 2013


Cronache minime di vita romana

Lacrime, abbracci e sospiri nella “Casa da Sora Giorgia”, in un vicolo presso via Nazionale: va in pensione la vecchia maitresse, una segaligna napoletana di famiglia sabauda. Una vita da esperta professionista in giro per le “case” poi – come spesso accade – la decadenza fisica le ha imposto il meritato riposo ed il cambio di ruolo. Dapprima operatrice sul campo, ha concluso la carriera coordinando il lavoro altrui: nel compito discreto e confidenziale di coniugare le preferenze di una variegata clientela (dal rozzo militare americano dell’esercito occupante, al banchiere sordido che paga solo in dollari, dal mafioso dai capelli unti di brillantina all’adolescente brufoloso alla prima esperienza) con l’organizzazione della “casa”. Ma lei ha saputo accontentare tutti, trovando per ognuno la giusta compagna occasionale. “Sora Giorgia, è libera Silvia?” – “Sora Giorgia, c’è ancora Massimina Fufù? Oppure Pierluigia, o Matteuccia?” – “Sora Giorgia, vorrei in coppia l’Umberta e la Roberta, quelle due varesotte tanto carucce… che, me le dispone per mezz’ora?”. Insomma, un tranquillo via-vai di ragazze e clienti.
Oggi è il giorno dell’addio. L’anziana tenutaria non mostra – almeno in apparenza – nostalgie e debolezze. “Sora Giorgia, perché non restate ancora un po’, almeno sino all’arrivo della nuova Madame?” – “Dai, sora Giorgia, che vi costa? Ancora qualche mese, non possiamo fare a meno di voi!”. Ed alla fine, anche il cuore indurito della compassata maitresse, rotta a tutte le esperienze,  si lascia commuovere dai lacrimoni delle ragazze – scendono copiosi sciogliendo il trucco pesante – e ci ripensa. Resterà ancora, per il bene della casa e per l’affetto e gli insondabili segreti che la legano alle signorine.
Fuori dalla casa chiusa, Roma è il solito brulicare di umanità miserabile, vittima e complice della guerra perduta.

L’articolo è contenuto in un giornale romano datato 28 settembre 1945, rinvenuto in una soffitta. La legge Merlin era ancora lì da venire

giovedì 11 aprile 2013

Il Galatino anno XLVI n° 7 del 12 Aprile 2013


“Bonus” io, boni tutti

Esiste un’eletta schiera di persone il cui tenore di vita non risente della crisi. Non parliamo della classe politica perché siamo certi di aver stancato col ripetere le stesse giaculatorie, ma soprattutto perché per dire qualcosa di realmente nuovo sui “nostri amati” – esaurito il florilegio di improperi a disposizione di chi scrive –  dovremmo inventare un glossario appropriato. Ci collochiamo idealmente con quei tifosi che a S. Siro esibivano lo striscione “Non sappiamo più come insultarvi”. Perciò si faccia avanti un epigono del futurismo, un Marinetti della parolaccia, e ci munisca di nuove armi verbali, quelle note essendo inadatte a tanto degrado.
No, stavolta parliamo invece degli happy few che prosperano comunque, “o chiove o tene”. Sono gli altissimi manager pubblici e privati, un empireo di eccelse teste – nel senso di menti, non azzardiamo paragoni anatomicamente impropri – quali mai si videro nell’universo mondo. Un esempio a caso. Abbiamo un ente – che sia ancora pubblico non v’è certezza, ma sarebbe lungo da spiegare – il cui compito è quello di raccogliere contribuzioni obbligatorie dai lavoratori attivi ed erogare assegni mensili a quelli in pensione. Oltre che provvedere ad invalidi e disoccupati. Bene, questo ente (participio presente del verbo essere, senza ironia) in più occasioni ha mostrato impeccabile rigore distribuendo pensioni di euro 2, dicasi due-virgola-zero-zero, causa trattenute pari all’intero assegno mensile, a persone che con quella somma dovrebbero vivere (?) e mantenere una famiglia per 30 giorni. Lo stesso ente (che pubblica bilancio attivo, viceversa sarebbe un deficit-ente) corrisponde al suo boss un emolumento annuo di 1.200.000 euro. Si aggiunga che il manager in questione siede – immaginiamo comodamente – in altri consigli d’amministrazione, per arrotondare il magro stipendio, come un qualsiasi impiegato che il pomeriggio svolga lavoretti extra.
Se appare quanto meno singolare un appannaggio degno del Maharaja di Jaipur in un Paese dove alcuni anziani si suicidano per miseria e disperazione, non saprei come definire il caso di quei dirigenti che intascano principeschi bonus alla fine dell’incarico. Vi chiederete: a missione compiuta? Non esattamente. I generosi ringraziamenti d’addio vengono corrisposti qualunque sia l’esito di gestione dell’ente o dell’impresa; per cui può accadere, ed è successo davvero, che un’azienda in picchiata (mai definizione fu più consona) abbia staccato un assegno da 3 milioni di euro a fine rapporto. Nome dell’azienda, Alitalia, nome dell’amministratore, Cimoli. Il quale anni prima aveva incassato altri 6 milioncini da una “ditta” notoriamente ben gestita, Ferrovie dello Stato. Ora, premesso che un nostro qualsiasi concittadino, anche il compianto Piripillì, se investito di quegli incarichi, li avrebbe portati a termine con almeno pari diligenza ed efficacia ma con minor esborso per le tasche dei contribuenti, mi si esenti da ogni commento: in famiglia mi hanno impartito buone maniere, non vorrei contravvenire proprio adesso.