sabato 26 aprile 2014

Il Galatino anno XLVII n° 8 del 25 Aprile 2014

Uomini e motori

C'è stato un tempo, non lontanissimo, in cui la tecnologia automobilistica italiana faceva scuola. 
Le Ferrari dominavano in Formula 1, la Lancia collezionava titoli mondiali nei rally e le Fiat erano all'avanguardia nel segmento dell'automobilismo di massa, se è vero che l'allora amministratore di VW - davanti alla prima "128" - ammettesse "Noi tedeschi non riusciremo mai a fare auto così".
E' poi successo che abbia prevalso il ramo della famiglia Agnelli che intendeva privilegiare il settore finanziario rispetto a quello industriale. Le conseguenze di quella scelta sono evidenti: non si possono sostituire la passione e la cultura motoristica con la sola competenza finanziaria, senza subirne contraccolpi.
Quello che era il maggior gruppo nazionale ora è guidato da un amministratore che di italiano ha solo il cognome, perché ha lavorato sempre tra Canada e Stati Uniti e risiede nel cantone svizzero di Zug, il più ricco ed il meno avido di tasse della confederazione. Le sue capacità manageriali si sono esplicate principalmente nella chiusura di alcuni stabilimenti, nella "ricollocazione" (oggi si chiama così il licenziamento, con pudica ipocrisia) di qualche migliaio di operai e nel trasferimento di sedi, operativa in Olanda e finanziaria a Londra. Poco o nulla nell'innovazione e nella ricerca.
Cristallizzata la gamma di modelli, copie conformi di auto americane inappetibili per il palato esigente degli automobilisti europei, salvo rare eccezioni riservate ad un ristretto gruppo di fortunati possessori di Maserati e Ferrari; logicamente in calo le vendite e la percentuale di penetrazione nel mercato.
La morale del racconto spiega certa politica contemporanea. Se la gestione della cosa pubblica è nelle mani di usurai e feticisti delle tasse, la crisi è inevitabile. Forse è quello che qualcuno ha programmato e voluto, ma questo è un altro discorso.

venerdì 11 aprile 2014

Il Galatino anno XLVII n° 7 11 Aprile 2014

Mangia come parli

Un certo Oscar Farinetti da Cuneo, fondatore del marchio alimentare Eataly, dice che del Sud dovremmo fare “un unico Sharm El Sheik dove tutto il mondo va in vacanza”. Passano alcuni giorni e gli fa eco un altro, poco noto, gigante del pensiero culinar-padano, il signor Andrej Godina da Trieste. “Il caffè di Napoli è rancido”, afferma costui. Valutate le attenuanti generiche (che, nella repubblica delle banane, consentono ad un qualsiasi emerito didimo nordista di ventilare il cavo orale sparando in libertà bu…ffonate sesquipedali sul Meridione), non resterebbe che rispondere alla maniera di Eduardo “sindaco del Rione Sanità”, con una solenne, fragorosa pernacchia.
Purtroppo succede che “l’Italia in miniatura” odierna coccola e privilegia l’ultimo bastione di economia autarchica ancora per minima percentuale in mano settentrionale. Svenduto agli stranieri tutto il vendibile, azzerati i circenses, rimane il panem. Che ovviamente non può che essere buono, genuino e non inquinato solo se prodotto a nord del Garigliano: si spiegano così gli attacchi mediatici alla mozzarella ed al pomodoro campani, quelli agli ulivi ed all’olio di Puglia, le campagne di stampa sui nostri pastifici ed in generale contro la filiera alimentare meridionale.

Nella vicina Martano, il mese di ottobre è quello della “Sagra della volìa cazzata”, una gustosa specialità salentina. Ecco, immagino una joint venture di successo: noi forniamo le nostre magnifiche volìe, le cazzate ce le spediscono dal nord.