From
Pompei with love
Nei confronti di Gennarino Settebellezze,
ministro dimissionario, registriamo a caldo due diversi atteggiamenti del
pubblico maschile. Il primo è una malcelata invidia per il bruttino abile nel
circondarsi di appariscenti compagnie femminili: conquiste imputabili, dice
l’immaginario popolare, esclusivamente alla posizione di potere, dovendosi
escludere un sex appeal non rilevabile ad una pur sommaria valutazione
estetica. Il secondo sentiment verso il potente caduto in disgrazia è la
commiserazione, tramutata spesso in accanimento, in attesa famelica di nuovi
sviluppi mediatici sullo scandalo appena esploso; come del resto promette
l’unica intervista televisiva rilasciata dalla signora “sedotta e abbandonata”,
le affermazioni della quale lasciano intravedere ulteriori coinvolgimenti
muliebri configuranti un harem ministeriale di cui, ad oggi 7 settembre,
sfugge la consistenza numerica. In questa vicenda di fesso extraconiugale,
chi rileva l’ennesima figuraccia delle istituzioni, dimentica però una
tradizione italiana consolidata dal 1860.
Tradizione ben dipinta dalla schietta
volgarità del detto plebeo, precisamente quello che paragona la resistenza di
un sottile particolare tricologico alla forza di trazione d’una fune
intrecciata.
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