Breve
campionario di vezzi senili
Bellissima stagione, quella della terza età.
Proibito chiamarla “vecchiaia”, la cultura mainstream disprezza il rude
vocabolo, oggi poco spendibile, in quanto associato all’idea della morte nell’immaginario
collettivo: l’ennesimo tabù lessicale delle imperanti civiltà anglosassoni,
americana in particolare. Curioso osservare come la stessa nazione che ha
conseguito il predominio sul resto del mondo, attraverso il plurisecolare esercizio
di politiche di morte e di prevaricazione fuori e lontano dai confini federali,
quella nazione abbia occultato l’idea della fine naturale come coronamento dell’esperienza
umana (tutto sommato auspicabile, rispetto alle irrazionali violenze quotidiane).
E di conseguenza ne nasconda le progressive manifestazioni esteriori mediante
una pervicace, ossessiva ricerca dell’eterna giovinezza.
Scomparsi i “bei vecchi” di un tempo, con la
loro dote naturale di rughe e canizie, impazzano questi adolescenti
sette-ottantenni in jeans e minigonne inguinali. Figuranti improbabili cui è
venuta a mancare, assieme alla gravitas senectutis, anche la dignità di
un elegante appassimento corporale. È evidente quanto l’uso e l’abuso di chirurgia
plastica e pilloline blu riescano a cancellare brillantemente gli insulti
anagrafici all’estetica ed alle più intime funzioni e pulsioni, ma non
altrettanto possano contro l’obsolescenza dell’hardware cerebrale. Che
infatti, come letteratura geriatrica insegna, invecchia inesorabilmente e senza
cure efficaci.
Dicevamo: sereno è quel tempo breve che va
dal tramonto alla notte, perché lontano dai tumulti dell’animo e dalle
impellenze della carne. Ancor più se dedicato ad affinare lo spirito e
l’intelletto, osservando non dall’alto, che sarebbe presunzione imperdonabile,
ma in disparte, le convulsioni del mondo.