sabato 29 maggio 2010

Il Galatino anno XLIII n° 10 del 28 Maggio 2010

Da 25 anni una coppia di cari amici stranieri trascorre le vacanze nel Salento. Più volte l’anno i due freschi pensionati prendono residenza tra Gallipoli e Leuca, tanto da spingermi scherzosamente a conferire loro la “nazionalità” salentina honoris causa. L’attribuzione sembra compiacere in particolare il mio amico, rapito dalle bellezze architettoniche ed artistiche leccesi, e conoscitore profondo della Basilica Cateriniana, della quale potrebbe indicare autore, scuola ed epoca degli affreschi con maggior precisione della gran parte di noi stessi Galatinesi.
Una sera della scorsa estate si chiacchierava seduti ai tavolini del bar in piazza. Gli amici facevano notare il contrasto stridente, ictu oculi, tra la ricchezza delle architetture storiche racchiuse nel centro antico, vestigia di un passato splendido dal punto di vista culturale ed economico, ed il dimesso grigiore dell’edilizia pubblica e privata post-unitaria e repubblicana. Non avendo argomenti per controbattere, ho annuito malinconicamente. Per poi spiegare, sic et simpliciter, con due parole strozzate in gola dalla rabbia, che purtroppo i 150 anni di unità questo hanno portato: la sistematica e continua devastazione economica, etnica e culturale di un intero territorio in favore di un altro, opera “civilizzatrice” che prosegue ai giorni nostri in maniera più subdola. Per informazioni chiedere a Tremonti, Brunetta e Gelmini.
Non ho voluto annoiare gli amici raccontando quel che dimostra per tabulas, con dovizia di particolari tratti da fonti autorevoli, Pino Aprile, autore di “Terroni”, testo da consigliare caldamente. È un libro rivoluzionario per tesi ed argomento, che sto leggendo lentamente, al contrario delle mie abitudini, non perché non mi appassioni: però devo assimilarne l’indignazione goccia a goccia come un veleno, in un esercizio di mitridatizzazione mentale. È un intimo lavoro di autodisciplina, necessario per convertire in positivo la rabbia causata dalla lettura di quelle pagine dolorose. Significa superare la fase della consapevolezza delle violenze secolari subìte dal nostro Sud, per immaginare un cammino di autonomia ed emancipazione svincolato dai soliti padrinaggi politici di ogni colore, che ormai tutti identifichiamo come palla al piede del Meridione d’Italia. Ed essere d’accordo, paradossalmente!, coi “duri e puri” della Lega se chiedono la secessione… che intelligenti politici meridionalisti vedono come un’ipotesi opportuna in termini di dignità, autodeterminazione e sviluppo. Difficile confutarli dopo aver interpretato, con non poche difficoltà semantiche, alcuni “pensieri” (borborigmi a bassa frequenza, in realtà) di Bossi junior e consimili esemplari della superiore razza padana; scegliendo di non essere governati, in un futuro prossimo, da intellettuali di siffatta levatura. Pericolo tutt’altro che remoto.
A questo Vostro dichiarato estremista piacerebbe che il libro di cui parliamo, tra tanti superflui, fosse invece adottato nelle scuole meridionali quale utile saggio storico da studiare con attenzione. Magari tra qualche decennio potrebbe sembrare anacronistico l’umorismo amaro del nostro Melanton, quando con mirabile arguzia nella vignetta in prima pagina raffigura il Sud come un osso spolpato.







venerdì 28 maggio 2010

Fenomenologia del tamarro - 28 Maggio 2010

Fenomenologia del tamarro

Chi è il tamarro? In quanti e quali modi emerge la coattitudine?
Potrebbero sembrare questioni di secondaria importanza, al confronto con argomenti esiziali per la corretta, fisiologica evoluzione del dibattito culturale, quali ad esempio la natura dei rapporti intercorrenti tra un Premier europeo ed alcune giovani dall’approccio veloce e disinibito, accidentalmente definite Ministro. Ricerca di profilo alto e nobili intenti in cui tabloid scandalistici fanno scuola e dottrina, non avendo emuli degni di tanto esempio, ma entusiasti esegeti televisivi a Rai 2.
Opportuno in questa sede limitare invece lo studio alla diffusione, non più underground, della cultura burina, che imperversa sui media, nelle scuole, per strada: lo ‘nzallo è tra noi, ed è organismo biologico di prolificità esponenziale. Pervade ogni spazio, efficace come un estintore soffoca ogni fiammella d’ intelligenza.
Quando definiamo kitsch la nostrana ‘nzalleria, le attribuiamo con l’abusato vocabolo germanico una patente di eccellenza culturale, un ipotetico valore rivoluzionario. È sovrappiù di giudizio, perché poniamo lo zambaro su un piedistallo, trasformiamo il tristo figuro in un fervido innovatore dei costumi, un dannunziano ante litteram. È il buzzurro che diventa celebrità televisiva da seminario mariano (inteso come “Amici di Maria”), maestro del pensiero debole e del cogitare malaticcio, esponente ultimo della “cultura popolare”. L’eloquio incerto, meglio descritto come raffica di fonemi indistinti, pone il tamarro al gradino più basso nelle capacità comunicative tra gli esseri viventi, allo stesso livello dell’ameba primordiale.
Ha suoi canoni estetici, possiede codici comportamentali il soggetto truzzo, che ci consentano di riconoscerlo al primo sguardo? Oppure ci si deve affidare al fiuto, al personale gusto del bello? Potrebbe essere il giovane alla guida di un catorcio anni ’80, trasformato in discoteca ambulante da 2000 watt e 200 decibel, gioia dei nostri pomeriggi estivi che vorremmo dedicare alla siesta. Se dubitiamo, con ragione, che dietro gli occhiali con montatura bianca, stile Lina Wertmuller, conduca vita stentata una decina di sinapsi sopravvissute alla nevicata quotidiana, tratteniamoci però dall’invitare il ragazzo a trasferirsi lontano, per la delizia di altrui timpani, magari al mare, alle “Canne”. L’esortazione potrebbe essere scambiata per una fraterna offerta di “fumo”. Non ci resta allora che armarci di tamburello e partecipare obtorto collo all’improvvisato taranta party nel giardinetto pubblico dietro casa.
Che sia forse incarnato dal politico locale, avvezzo a trasformismi degni del miglior Fregoli, passato indenne ed inaffondabile tra innumerevoli naufragi amministrativi? Quello che abbia partecipato a mille e più battaglie politiche, sotto altrettante bandiere, ma in nome della coerenza e di un fantomatico ma sempre invocato bene collettivo? Si mostrerebbe in quel caso la figura nota del milordino di partito in blazer blu, recante un pelo sullo stomaco di non comune lunghezza.
Ma non si creda che la tamarraggine sia fenomeno esclusivamente locale: si legge infatti di un episodio verificatosi di recente a Kaltein, ameno paesino del Sud Tirolo. È avvenuto dunque che tale Frau Dietlinde, bauerin (allevatrice) del luogo, sia stata eletta al Gemeinderat (consiglio comunale). Smesso il tradizionale dirndl di lana grezza verde, la signora ha indossato vestiti griffati ed ha preso il posto assegnatole. Le cronache però riferiscono che, venuti meno alcuni voti di coalizione per una figura importante da lei suggerita, la virago si sia esibita contro i suoi stessi alleati in una performance più adatta alle odorose stalle montane che alla severità del luogo e del ruolo istituzionale: incarnando il prototipo della turbonzalla teutonica.
Con grandissimo imbarazzo dei presenti e del Bürgermeister (sindaco), che descrivono persona pacata e ragionevole.
Questo è avvenuto, caro Professore, tra ridenti pascoli dolomitici, giammai nella nostra elegante Galatina.
Cordialmente La saluto,
Pasquino Galatino

domenica 23 maggio 2010

Peppino Spoti a PG - 23 Maggio 2010

Egregio sig. Pasquino,
le lettere pubblicate sul sito internet Galatina.it a sua firma, nei giorni 28 aprile e 12 maggio u.s. e, le risposte date dal direttore del sito Galatina.it alle sue due missive, hanno suscitato una meditata riflessione da parte del sottoscritto, che mi appresto, così, ad esternare.
Innanzitutto la ringrazio per la vena di ottimismo che traspare dai suoi due scritti; mi ha colpito in modo particolare l’uso della metafora che ne riempie in modo ricorrente il contenuto.
“Cicogne”, “aquile”, “paduli”, “forbici de puta” sono termini più che allusivi. Proviamo a darvi una interpretazione esplicita e pertinente.
Non c’è dubbio come sostiene il direttore di Galatina.it che non sempre chi viene suffragato dal consenso elettorale, si rivela poi saggio amministratore. Il cittadino elettore è portato molto spesso ed in modo istintivo a fidarsi del candidato prescelto e, quindi, a sostenerlo con il proprio voto. Guai però a quell’Amministratore Pubblico che viene meno alle promesse fatte, che delude e mortifica il proprio elettorato per indegnità, per incapacità, negligenza ed arroganza. In questi casi, come si usa dire, “si brucia da sé”, è politicamente finito! Peppino (senza ricorso a metafore di sorta), ha accumulato al suo attivo un corposo bagaglio di consenso elettorale, il che significa, penso, che qualcosa di positivo ha fatto finora ed è impegnato e ben disposto a continuare a fare, oggi più che mai, dopo l’ulteriore recente affermazione elettorale, tanto clamorosa quanto carica di responsabilità.
Si può, pertanto, ben sperare che, senza timori di sorta, possa, di concerto con gli altri (Giancarlo in primis) assumere nelle proprie mani, “forbici de puta”, per effettuare quella potatura di rami secchi, dannosi ed improduttivi, indispensabile per una rigenerazione produttiva nella gestione della cosa pubblica, così come è nelle aspettative di un si grande numero di cittadini, che hanno inteso con il proprio voto, assecondare una svolta innovativa nel governo della Città.
Peppino c’è, Giancarlo (mi permetto di accomunarli) spero ci sia. Insieme non hanno certo la presunzione di volare come “aquile”, ma sicuramente (si mettano l’anima in pace quanti sperano il contrario) ce la metteranno tutta per volare in alto quali splendide cicogne e non come “temutissimi paduli neri rapaci dal volo radente”. L’ottimismo della ragione induce a sperare che il cielo della nostra Città (per restare nella metafora) possa essere solcato da una splendida cicogna, per così spazzare definitivamente la presenza di paduli resi ancora più neri e rapaci perché pieni di odio, rancore e invidia per le ripetute sconfitte e per l’incapacità ad affermarsi in alcunché, capaci solo di persistere nel ricercare in altri, comportamenti di vita da parassiti, senza accorgersi di esserne, proprio essi, oscuri esemplari.

Galatina 23 maggio 2010

Peppino Spoti

sabato 15 maggio 2010

Furbici de puta - 15 Maggio 2010

Gentile Professore,
ci insegnano i nostri padri che la potatura degli alberi è un’arte vera e propria, che coniuga estetica ed efficienza. Ritenuta a torto da alcuni un compito minore delle occupazioni agresti, invece per i contadini capaci è un momento fondamentale della coltivazione. L’olivo sfrondato dei rami secchi e improduttivi si alleggerisce, respira, si nutre più efficacemente della linfa per rinforzarsi e preparare fioritura e fruttazione. Va detto che la cenere prodotta dalla combustione di foglie secche e rametti costituisce un ottimo concime naturale. Qualcuno ha introdotto la cosiddetta “rimonda barese”, che consiste nel tagliare i rami più alti per agevolare la raccolta delle olive.
Fabella docet, salutiamo ancora Giancarlo e Peppino ed auguriamo buon lavoro ad entrambi ed alla loro squadra. Lo spoil system è una potatura razionale, intelligente, dell’organigramma comunale: la nostra riconoscenza vada a quello dei due che impugnerà con mano sicura e coraggio cesoie e furbici de puta.
Cordialmente


venerdì 14 maggio 2010

Il Galatino anno XLIII n° 9 del 14 Maggio 2010

Emergenze cittadine
L’interesse suscitato dall’editoriale del nostro Direttore nel precedente numero de “il Galatino”, con oggetto una libera interpretazione dello stemma civico sulla balaustra laterale della Chiesa Madre, è una polemica oziosa solo in apparenza. Perché mette sotto accusa un approccio alla storia cittadina talvolta superficiale ed irrispettoso: e sappiamo che quel simbolo non è decorazione insignificante ma vessillo araldico della civitas Galatinese. Facile concludere che il pressappochismo mostrato spesso nell’amministrare la cosa pubblica abbia trovato degno emblema nella balaustra traforata erroneamente.
Perciò vorremmo che il nascente Governo cittadino costituisse un punto di rottura con la politica del laissez faire nell’osservanza del decoro urbano in generale: ma soprattutto nella gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti. Un recente decreto governativo mette in dubbio la legittimità delle ATO, e non sappiamo con esattezza quali conseguenze potrà avere questa decisione. Dovranno comunque essere risolti i problemi esistenti, come l’estensione all’intero territorio comunale della raccolta differenziata porta-a-porta e conseguente eliminazione dei cassonetti.
Non è pensabile, esempio fra i tanti, che in via Pascoli, a pochi passi dal centralissimo corso Luce, un rudere fatiscente adibito a parcheggio sia “nobilitato” ulteriormente da 3 maleodoranti contenitori. Nè si può ancora tollerare che l’inciviltà di pochi continui impunita col deposito, fuori orario e fuori dai bidoncini familiari, delle buste di pattume negli spazi pubblici, alla portata di animali randagi. Ma soprattutto bisogna porre un freno definitivo all’abbandono di gomme d’auto, materassi e rifiuti ingombranti persino in zone centrali e frequentate.
Tutto questo è indegno di una Città che voglia definirsi civile, e tale voglia mostrarsi anche ai visitatori che porterà la stagione estiva ormai prossima. Ci umilia ascoltare i commenti ironici dei turisti che, dopo aver ammirato la Basilica ed il centro antico, affrontano la visione disgustosa della sporcizia abbandonata. Si faccia informazione nelle scuole e nelle famiglie, poi si sanzioni chi non rispetta le regole.
Ed infine, punctum dolens, è assolutamente necessario programmare un monitoraggio continuo, sistematico, della qualità dell’aria e dell’ambiente. Nella nostra zona la percentuale di malati e morti per cancro, purtroppo anche giovani, è superiore in maniera significativa rispetto alla media nazionale. Le cause si sospettano e si sussurrano a bassa voce. Si abbia il coraggio di fare chiarezza, Autorità cittadine, ASL e Rappresentanze sociali insieme, ognuno secondo i propri compiti istituzionali.



domenica 9 maggio 2010

Cornuto e mazziato - 8 Maggio 2010

Festeggeremo tra pochi mesi il 150° dell’Unità d’Italia. Lo spirito è quello, ben dipinto nei film di guapparia, delle feste di matrimonio nelle quali tra i parenti degli sposi non corre buon sangue. Sorrisi di circostanza che mascherano rancori e vecchie ruggini.
Bossi afferma che il Nord non ha mai voluto l’Unità. Benedetto uomo, “se ce lo dicevate prima!” (parafrasando Enzo Jannacci).
Neanche noi eravamo entusiasti, a dire il vero. In cambio delle promesse disattese di liberare il Meridione dalle angherie feudali dei baroni, di portare la civiltà (quanti delitti in suo nome!), i “patrioti” ripulirono il Banco di Napoli dall’oro, subito trafugato in Piemonte per ripianare gli ingenti debiti contratti dai Savoia per la loro guerricciola domestica. Le truppe fedeli al Re Borbone diventarono da un giorno all’altro “il triste fenomeno del brigantaggio”, come recitano didascalicamente sussidiari di quinta classe e testi di storia di medie e superiori.
Nessun cenno alle stragi di civili, all’emigrazione forzata, alla sistematica predazione della florida economia autarchica del Regno delle Due Sicilie. Sospetto che risalga a quel periodo il detto “Cornuto, mazziato e cacciato di casa”, l’amaro sarcasmo sudista che dissacra ogni cosa.
Nunc est bibendum, allora si festeggi: sollecitato dalle pressioni del Presidente della Repubblica, il Governo ha già stanziato cospicue somme per rievocazioni storiche e convegni. La speranza è almeno quella di non essere sommersi dal profluvio retorico risorgimentale. Vuota magniloquenza dalla erre moscia con cui flagellava i nostri padiglioni auricolari l’ex Presidente “Severo Monito” (quello del “Non ci sto!” a reti unificate). Del quale i sermoni quirinalizi trovano uso estemporaneo nei manuali di medicina alternativa, al capitolo “Rimedi naturali contro la stipsi ostinata”: ascoltare due volte al dì, dopo i pasti.
Se proprio si deve celebrare, lo si faccia rileggendo onestamente il processo unitario, un’impresa coloniale perpetrata con inganno e violenza. Sarebbe un modo per esorcizzare la balcanizzazione prossima ventura del nostro Paese.