martedì 29 giugno 2021

Il Galatino anno LIV n° 12 del 25 giugno 2021

 

Chi decide cosa

   La funzione dei sondaggi demoscopici è importante. Per i dirigenti di un partito che vogliano misurare l’apprezzamento per la propria azione da parte dell’elettorato, fidelizzato o conquistabile, le percentuali in più o in meno delle intenzioni di voto hanno un peso. Rilevano se l’indirizzo politico, come una qualsiasi merce sul mercato, soddisfi gli orientamenti popolari oppure si debba correggere, ed in che direzione, verso quali temi. È abituale che sondaggi negativi non siano resi pubblici se non in forma edulcorata, o meglio mascherata, per non innescare un processo automatico e progressivo di disaffezione dell’elettorato e perciò di diminuzione dei consensi, spauracchio per ogni segretario di partito. Al contrario, spostamenti percentuali favorevoli, anche in percentuale minima, vengono sbandierati in prima pagina e con ampi sorrisi di soddisfazione. Questo avviene nella vita normale di una democrazia.

   In tempi eccezionali come questo, non meraviglia che l’attuale Presidente del Consiglio goda del consenso di quasi 7 cittadini su 10, molto al di sopra dei membri del suo stesso esecutivo. Il motivo potrebbe essere nella prassi dell’attuale Premier che usa ascoltare in silenzio le indicazioni delle forze di maggioranza e poi decidere in assoluta autonomia. Rivoluzionando l’abitudine consolidata sinora, secondo la quale ogni Capo di Governo ha dovuto fare sintesi, cioè “accontentare”, tutti i partiti indistintamente, con un rallentamento dell’azione politica che spesso si è tradotto in immobilismo gestionale.

   Può piacere o no ma, per guarire un corpo istituzionale sofferente, questa è una cura senza alternative proponibili al momento. Dovremmo chiederci allora come e perché si è arrivati alla malattia.

 

sabato 5 giugno 2021

Il Galatino anno LIV n° 11 del 4 giugno 2021

 

Una storia “Amara”

   La stagione di “Mani pulite” ha portato a suo tempo alla palingenesi di due dei tre poteri dello Stato, quello legislativo e quello esecutivo. Ciò che ne è seguito è un processo tuttora in corso. Forse tra 50 anni si riuscirà a far piena luce sulle cause esterne della rivoluzione italiana per via giudiziaria: in particolare sugli interessi geopolitici, da ricercarsi al di là delle Alpi e dell’oceano Atlantico, che hanno fatto tabula rasa del sistema dei partiti nato dalla Resistenza. Con quello è parzialmente crollato, e poi finito in mani straniere, anche un intero apparato finanziario ed economico. Risalire alle cause di questo colossale passaggio di proprietà sarà lavoro per qualche storico curioso, che oggi non è ancora nato.

   Ciò detto, non si può non rilevare che il terzo dei poteri, quello giudiziario, ha attraversato indenne le fiamme di “Tangentopoli”, e non poteva essere diversamente, visto che proprio la magistratura ha acceso il fuoco purificatore, attribuendosi il ruolo di unico rianimatore della democrazia moribonda. Si vedrà, anche qui tra un paio di generazioni, quanto sia stato spontaneo quell’incendio e forse, chissà, quali manine straniere abbiano fornito benzina e fiammiferi. Ma non è questo l’argomento di cui vogliamo parlare.

   L’erogazione delle somme del Recovery Fund da parte della Comunità Europea richiede in cambio rapide e radicali riforme della pubblica amministrazione che nessun governo precedente è stato in grado di realizzare, per motivi talmente risaputi che ricordare qui sarebbe tautologico. Queste riforme includono quella della magistratura e dei processi. Sinora la corporazione si è arroccata in maniera tetragona ad ogni progetto di rinnovamento, dall’alto della propria posizione di forza rispetto agli altri due poteri dello Stato. È mia opinione che questa riforma si farà, prevedibilmente senza eccessivi intoppi parlamentari e di governo, proprio nel momento in cui (strana coincidenza) la magistratura viene investita dagli scandali peggiori della vita repubblicana, e privata di quell’aura di incorruttibilità e terzietà che, a torto od a ragione, le è stata quasi sempre attribuita, con una perdita di consenso che parte addirittura dal Consiglio Superiore e, giù per li rami, tocca i più remoti tribunali di provincia. In conseguenza la capacità di interlocuzione col governo ne esce notevolmente depotenziata.

   Sarà di certo un caso fortuito, non si vuole fare dietrologia. Questo però è il Paese dove nulla avviene per caso, dal processo unitario in poi.