venerdì 25 novembre 2011

Il Galatino anno XLIV n° 19 del 25 Novembre 2011

Pino Aprile a Galatina

Novembre 1832: va in stampa “Le mie prigioni” di Silvio Pellico. Il principe von Metternich dichiara in seguito che quel libro ha danneggiato l’impero austriaco più di una battaglia perduta. C’è una ratio che unisce editoria e politica in concatenazioni di cause ed effetti, anche nella nostra epoca dominata dalla tv spazzatura; a volte questo legame sfugge ai commentatori, persino i più accorti, ma le conseguenze di alcune letture incidono nel profondo della società. Forse non rimarrà traccia del profluvio di pagine di Bruno Vespa, quasi tutte superflue cronache di questi anni mediocri. Certamente ricorderemo “Gomorra” di Saviano, per il coraggio della denuncia. Ma molto dovremo riconoscere ai libri di Pino Aprile, ospite a Galatina il 18 novembre scorso per la presentazione del suo ultimo lavoro “Giù al Sud”. È un fiume carsico, quello degli intellettuali meridionali che a diverso titolo si sono occupati della storia del cosiddetto Risorgimento, derisi ed osteggiati dalla cultura ufficiale. Tra i moltissimi, penso ad Angelo Manna, avvocato e giornalista napoletano che acconsentì ad entrare in Parlamento solo per denunciare le stragi sabaude, e per questo venne espulso dal suo partito; egli consigliava a noi conterranei “Uscite dai partiti nazionali”. Voleva ripartire dalla plurisecolare autonomia statuale del Meridione il grande Nicola Zitara (citato nel libro di Aprile), che dimostrò per tabulas come l’attuale ricchezza del nord derivi direttamente dalle razzie finanziarie e sociali postunitarie compiute sul corpo opulento del Regno delle Due Sicilie. Secondo una scuola di pensiero politico che abbraccia l’intero “arco costituzionale”, certa storia e certe storie, ancora oggi, è bene non circolino e non si raccontino ai giovani per paura di destabilizzare la già traballante (ed ora commissariata dalle banche) repubblichetta. È evidente che occultare i fatti, se pur lontani 150 anni, non giova alla causa; non vorrei dover interpretare in quest’ottica la tiepida accoglienza di alcuni dirigenti scolastici all’incontro mattutino degli studenti con Pino Aprile. Ecco, il nostro Autore dà voce orchestrata alla miriade dei singoli cantori dell’orgoglio meridionalista; egli descrive un fenomeno vastissimo, pur ignorato colpevolmente dai media. “Terroni” ha portato al grande pubblico la vera storia, nascosta per vergogna e per meschino calcolo politico; “Giù al Sud” continua idealmente raccontando le eccellenze meridionali e la circostanza felice e travagliata della restanza giovanile, quella delle menti brillantissime che, dopo esperienze di studio e lavoro “fuori”, rientrano alla terra d’origine per vivificarla del proprio apporto. Su queste forze fresche, conclude Pino Aprile, il nostro Meridione sta fondando il suo futuro. L’ottimismo del nostro Autore si spinge a preconizzare che questo rinascimento, fatto culturale prima ancora che economico, possa salvare l’Italia intera dalla decadenza. Questo potrebbe anche avvenire, ma chi scrive ritiene che sarebbe l’ennesima donazione di sangue meridionale all’organismo del nord ipertrofico e malato di leghismo, senza alcuna contropartita. Dopo 150 anni, è davvero troppo.

mercoledì 23 novembre 2011

Non ho finito le citazioni, è semplicemente morta la democrazia...forse - 23 Novembre 2011

“Non ha più niente da dire”, “Ha finito le citazioni”, “No, è un qualunquista”… I commenti mi sono arrivati e non mi scalfiscono. Mi pare di averlo già detto, ma repetita iuvant: sono angosciato. Non capisco come facciate a non vedere che siamo sotto dittatura. La peggiore di tutte perché non usa i sistemi “classici”, i militari al potere (comunque un ministro della difesa, ammiraglio in carica, lo abbiamo…), la censura (però questo sdolcinato unanime entusiasmo sul Professor Monti dovrebbe far pensare…), il controllo sociale (ma poi spiegatemi per favore i toni apocalittici sul debito fatti propri anche dal sindacato). Non una parola sulle origini di questo debito e sui presunti creditori. Bisognerebbe informarsi per capire l’inganno.

La democrazia è morta e la sovranità popolare non sta tanto bene. In Grecia hanno provato a sottoporre a referendum le misure imposte dalla BCE (vero, reale governo europeo): il Premier che proponeva la consultazione è stato defenestrato per un tecnico di scuola bancaria. Da giorni circolavano in borghese agenti della famigerata Eurogendfor, la polizia europea; se non sapete cosa sia quest’organismo e quali poteri abbia, andate a leggere, forse neanche la Gestapo aveva tanta libertà d’azione. In Italia si segue la vecchia via delle congiure di palazzo, sempre efficacissime, come insegna Scalfaro, ed ecco il governo d’emergenza che nessuno ha mai votato. Le prime misure vanno in favore del controllo personale e del sistema bancario (limite di spesa per contanti, per dire): pazienza se in contrasto con gli interessi della Gente.

Ripeto, ho paura, e mi spaventa ancora di più il silenzio dei media. I partiti, tutti, sono conniventi: del resto con la finanza ci marciano da sempre (“Allora, abbiamo una banca?”, disse il buon Fassino). Mi aspettavo una denuncia dello stato di sospensione della democrazia almeno da parte dei radicali, in altre occasioni paladini di ogni libertà. Ma Pannella è il monumento di sé stesso (d’altronde è vecchio). Della Bonino inutile dire: basti ricordare che, come Monti, è membro di quella pia opera che chiamano Gruppo Bilderberg. C’è di che stare allegri.

venerdì 11 novembre 2011

Il Galatino anno XLIV n° 18 dell'11 Novembre 2011

Invecchiare con stile, che fatica

Nel nostro immaginario la vecchiaia è quell’età della vita in cui la distanza dalle passioni consente di riconciliarsi col mondo e godere con serenità dell’affetto di parenti ed amici. È una sorta di preparazione al passaggio finale, come quando ci si abbandona dolcemente al sonno. Agli anziani si addicono saggezza e calma, predisposizioni dell’animo che gli antichi chiamavano atarassìa: su questo argomento ha scolpito parole definitive Cicerone nel suo Cato maior de senectute. Non posso non citare la grande scienziata Rita Levi Montalcini, sempre lucidissima a 102 anni: un esempio per tutti, ammirevole persino quando veniva letteralmente trasportata a braccia in Senato per tenere in piedi col suo voto decisivo il governo dell’ineffabile Prodi. Una scena triste che donava dignità all’anziana ricercatrice per toglierne, se ancora possibile, al dannoso politico emiliano. Giocando, voglio ricordare l’attore Sean Connery, per la gioia di tantissime ammiratrici: un mito di virilità ed eleganza persino ad 81 anni.

Ma abbiamo pure esempi di vecchiaia tribolata, e non mi riferisco allo status economico. C’è un guru che a sinistra, inspiegabilmente, gode da sempre di grande considerazione. Scrive su “la Repubblica” ed ha una sua rubrica nel settimanale di quel quotidiano, “il Venerdì”: è Giorgio Bocca, 91 anni. Per inquadrare l’uomo, è necessario un breve excursus: fascista duro e puro in gioventù (come tanti che però non hanno rinnegato), scriveva sul periodico “La difesa della razza”. Fu ufficiale alpino in guerra, ma al momento giusto fiutò il vento e divenne capo partigiano nella sua Cuneo. Nel “Tribunale del popolo”, a guerra già finita, da presidente firmò la condanna a morte di alcuni ex commilitoni fascisti. Dal dopoguerra in poi ha avuto una brillante carriera giornalistica, che lo ha condotto in diversi quotidiani e settimanali, ma anche in TV, in posizioni vicine alla casta demo-socialista al potere per 50 anni. È tra i fondatori del quotidiano di Eugenio Scalfari. La sua ondivaga, sofferta esperienza politica, salvo ulteriori piroette, pare concludersi con l’adesione convinta alla Lega Nord, che esplicita settimanalmente vomitando veleno su questo cancro della società italiana che saremmo noi meridionali. Deduciamo che il filo rosso che lega tutte le sue vicissitudini politico-professionali è un inguaribile razzismo.

Ora, posto che (come sanno tutti quelli che masticano cose di media e politica) chi collabora con “la Repubblica” e stampa collegata gode di una sorta di immunità pregiudiziale, e quindi ha ragione “a prescindere”, però c’è da chiedersi se Bocca abbia valicato quel labile confine che trasforma un venerato maestro in un vecchio rin.......ito. A noi, maledetti terroni, un giudizio politicamente scorretto.