martedì 29 dicembre 2020

Il Galatino anno LIII n° 21 del 24 dicembre 2020

 

Pensavo fosse un DPCM invece era un monopattino

  

   Alcune parole conoscono improvvisa fortuna e diffusione; poi vanno in disuso, ed anzi pronunciarle o scriverle può rendere una frase ridicolmente ricercata e fuori contesto. Negli ultimi anni il vocabolo “resilienza” assurge agli onori delle pagine scritte o virtuali, poiché è legato al concetto della capacità individuale e collettiva di fronteggiare eventi avversi: predisposizione d’animo che l’epoca storica in cui viviamo richiede ad ognuno di noi. L’etimologia riporta al verbo latino resilire, “rimbalzare”, plastica descrizione di chi “torna indietro” conformando la propria vita ad una primigenia naturalezza, in armonia col Creato. Resilienza è lemma assonante a “resistenza”, voce che rende superflui commenti e spiegazioni.

   Resilienti e resistenti, ma non silenti. È necessario esserlo, rivendicare la dignità di cittadini pensanti e non sudditi, nei tempi in cui una classe politica non solo inadeguata ma addirittura pericolosa, di fronte al disastro incombente, escogita assurde trovate e misure di demagogica incoscienza. La Storia ricorderà un sedicente Governo che, al Popolo disoccupato e senza futuro, regala monopattini elettrici. Per andare dove, e fare cosa, non è dato sapere. 

   Buon, resiliente, Natale. Con l’augurio che non sia un 2020 + 1.

sabato 19 dicembre 2020

Il Galatino anno LIII n° 20 - 11 dicembre 2020

 

“Non c’è male, grazie. E ssignurìa?”

 Riguardo all’atteggiamento verso la salute personale, il genere maschile può essere suddiviso in due macrocategorie: gli strafottenti e gli ipocondriaci.

   Tra i primi possiamo collocare due sottospecie, ovvero: a) “Sto sempre bene, grazie a Dio”, e b) “C’ave d’essere mai”, per i quali ogni malanno, di qualsiasi gravità, si risolve con una tazza di brodo caldo e una dormita. Mi inquadro tra questi ultimi, in tutta onestà.

   Più problematica per i parenti stretti, in particolare per le mogli, è la convivenza con i malati immaginari e la gestione delle loro paturnie caratteriali. Convocare il sacerdote al capezzale per l’estrema unzione con 37° di febbre, dettare al notaio le disposizioni testamentarie all’insorgere del più piccolo disturbo di stomaco, stalkerare al cellulare il medico curante per un insignificante rash cutaneo. Abitudini che conosce bene il familiare dell’ipocondriaco: c’è chi ne sorride con bonomia e chi invece si esaurisce a sua volta. A questi va la nostra solidarietà e comprensione. Oltre al consiglio pratico che l’indimenticato poeta dialettale Cino da Portaluce stilava con grazia quasi un secolo fa: “…ti giuru ca ste mosse, ti le cuarìa cu na stuccata d’osse