“Non
c’è male, grazie. E ssignurìa?”
Riguardo all’atteggiamento verso la salute
personale, il genere maschile può essere suddiviso in due macrocategorie: gli
strafottenti e gli ipocondriaci.
Tra i primi possiamo collocare due
sottospecie, ovvero: a) “Sto sempre bene, grazie a Dio”, e b) “C’ave
d’essere mai”, per i quali ogni malanno, di qualsiasi gravità, si risolve
con una tazza di brodo caldo e una dormita. Mi inquadro tra questi ultimi, in
tutta onestà.
Più problematica per i parenti stretti, in
particolare per le mogli, è la convivenza con i malati immaginari e la gestione
delle loro paturnie caratteriali. Convocare il sacerdote al capezzale per
l’estrema unzione con 37° di febbre, dettare al notaio le disposizioni
testamentarie all’insorgere del più piccolo disturbo di stomaco, stalkerare
al cellulare il medico curante per un insignificante rash cutaneo.
Abitudini che conosce bene il familiare dell’ipocondriaco: c’è chi ne sorride
con bonomia e chi invece si esaurisce a sua volta. A questi va la nostra
solidarietà e comprensione. Oltre al consiglio pratico che l’indimenticato
poeta dialettale Cino da Portaluce stilava con grazia quasi un secolo fa: “…ti
giuru ca ste mosse, ti le cuarìa cu na stuccata d’osse”
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