Come
eravamo
Rispolvero vecchi album di fotografie e
“super 8” della durata di pochi minuti. Reperti storici anteriori alla
digitalizzazione delle immagini e dei documenti, conservati in un archivio familiare.
Mute testimonianze della tecnologia artigianale dello sviluppo di pellicole e della
stampa su carta sensibile in camera oscura.
Rivedere sé stessi giovani, misurare non
senza un grammo di vanità senile il proprio aspetto esteriore asciutto e
muscoloso; dedicare un pensiero nostalgico alla biondina sorridente nella scolorita
Polaroid scattata in spiaggia. La ragazzina che ci ha fatto perdere la testa,
la prima di tante. Nell’ora che, anagraficamente, “volge il disìo”, rammentare
l’epoca d’oro della gioventù, sia pure attraverso un amarcord malinconico,
è abitudine consolatoria per chi si affaccia alla terza età. Ci si conceda
senza rimpianti questa debolezza umanamente comprensibile: in fondo,
l’etimologia del verbo ricordare è “riportare al cuore”.
Altrettanto perdonabile è “l’operazione
nostalgia”, la rievocazione (lungi da noi il definirla parodistica) di un
momento della vita cittadina economicamente, politicamente, culturalmente
irripetibile, sic stantibus rebus. Non si infierisca sul tentativo di esaltare
i fasti passati, tanto apprezzabile dal punto di vista dell’orgoglio
campanilistico, quanto masochistico per l’ingeneroso paragone con un oggi
incerto e declinante.
Questo, non altro, è possibile attuare senza
una progettualità a lungo termine ambiziosa ma realistica, e non avendo più con
i “Santi in Paradiso” quei canali privilegiati che realtà vicine hanno
monopolizzato a loro favore. E questo si fa.