Elogio
della Mannino
Un amico segnala il video di una conferenza
stampa del festival e, conoscendo la mia avversione per tutto ciò che concerne
la troppo celebrata competizione canora, mi consiglia di guardarlo per intero.
Ho fatto bene a seguire l’invito, perché in quei pochi minuti ho potuto valutare
una sintesi di geopolitica quale mai si è ascoltata da molti anni a questa
parte.
Una persona di intelligenza e cultura non
comuni prende spunto dall’esibizione di un attore americano di primo piano –
immagino ospitato dietro lauto compenso – e spiega seraficamente che l’Italia è
una colonia degli Stati Uniti. Affermazione di tale ovvietà da esimerci dal
doverla dimostrare: del resto, come chiamare un paese che “ospita” sul
territorio oltre 100 installazioni militari americane, le cui aree ed il cui
personale sono di fatto sottratti alla sovranità dello stesso paese
“ospitante”? Quale definizione attribuire ad una “espressione geografica”
(Klemens von Metternich, 1847) il cui Presidente del Consiglio, beninteso di
qualunque colore partitico egli sia, compie il primo ufficio istituzionale
volando a Washington per ricevere il placet delle banche d’affari che
detengono la maggior parte del debito pubblico e per incassare – in seconda
battuta – la magnanima benedizione del Presidente USA (una replica atlanticamente
riveduta e corretta del “bacio della pantofola” papale)?
Derubricata a “battuta comica”, la voce
cristallina di Teresa Mannino risulta destabilizzante per il potere e viene
relegata dai media tra le notizie minori. Non stupisce che l’Italia sia al 41°
posto nel Rapporto sulla libertà di stampa 2023 curato da Reporter senza
frontiere.
La singolarità del fatto mediatico che qui
si racconta, non può riguardare la figura del personaggio pubblico che ha il
coraggio di fare questa dichiarazione, ossia una brillante attrice umoristica, essendo
a tutti evidente l’italico scambio di ruoli tra attori della commedia dell’arte
e sedicenti politici. Scambio in cui la professionalità e la competenza dei
primi sono messe a repentaglio dall’accostamento con l’agire meschino,
autoreferenziale, dei secondi.
Non è questa la morale della vicenda: va
esaltata invece l’eccezione al servilismo della classe dirigente fornita da un
esempio – questo sì, politicamente apprezzabile – di dignità personale ed
impegno civile mai dimostrati dai cosiddetti “potenti”.