Scende
la pioggia ma che fa
Da che ho memoria, in Italia le alluvioni e
gli altri eventi calamitosi costituiscono la conseguenza logica dell’incuria dell’ambiente
naturale. Ho un ricordo indelebile dello straripamento dell’Arno a Firenze nel
novembre 1966. Ero un bambino, però conservo vivide in mente le immagini della
distruzione di biblioteche di tomi antichi e manoscritti, della perdita di
testimonianze storiche di valore incalcolabile. Ovviamente più doloroso il
bilancio in vite umane, 35 vittime secondo stime ufficiali della Prefettura di
Firenze. Le migliaia di morti dei disastri successivi attestano la colpevole cecità
delle istituzioni nei riguardi del problema della conservazione del territorio.
Rammento questo per constatare un po’
tristemente che le “ultimative” assicurazioni di ogni governo sulla prevenzione
del rischio ambientale sono lo spettacolo indecoroso a cui purtroppo assistiamo
dopo ogni inondazione, frana o terremoto che sia, nauseati ed assuefatti alla
solennità delle parole inversamente proporzionale alla concretezza delle azioni.
Il motivo dell’immobilismo istituzionale è intuibile: fare prevenzione richiede
programmi, verifiche continue, impiego di risorse economiche ingenti, ed
abbraccia uno spazio temporale di decenni; perciò stesso, è misura politica scarsamente
apprezzabile dal cittadino comune, senza ritorni elettorali immediati, fonte di
ricadute positive tangibili solo dopo generazioni. A godere della manutenzione
del territorio sono le classi di coloro che voteranno dopo 50 anni. Col cinico
metro di giudizio di un politico contemporaneo, quelli in tema di ecologia sono
atti di governo improduttivi.
Meglio investire in panem et circenses
e poi chiedere il voto. La questione ambientale non entra in cabina elettorale.