venerdì 27 settembre 2024

Il galatino anno LVII n° 15 del 27 settembre 2024

 

Scende la pioggia ma che fa

   Da che ho memoria, in Italia le alluvioni e gli altri eventi calamitosi costituiscono la conseguenza logica dell’incuria dell’ambiente naturale. Ho un ricordo indelebile dello straripamento dell’Arno a Firenze nel novembre 1966. Ero un bambino, però conservo vivide in mente le immagini della distruzione di biblioteche di tomi antichi e manoscritti, della perdita di testimonianze storiche di valore incalcolabile. Ovviamente più doloroso il bilancio in vite umane, 35 vittime secondo stime ufficiali della Prefettura di Firenze. Le migliaia di morti dei disastri successivi attestano la colpevole cecità delle istituzioni nei riguardi del problema della conservazione del territorio.

   Rammento questo per constatare un po’ tristemente che le “ultimative” assicurazioni di ogni governo sulla prevenzione del rischio ambientale sono lo spettacolo indecoroso a cui purtroppo assistiamo dopo ogni inondazione, frana o terremoto che sia, nauseati ed assuefatti alla solennità delle parole inversamente proporzionale alla concretezza delle azioni. Il motivo dell’immobilismo istituzionale è intuibile: fare prevenzione richiede programmi, verifiche continue, impiego di risorse economiche ingenti, ed abbraccia uno spazio temporale di decenni; perciò stesso, è misura politica scarsamente apprezzabile dal cittadino comune, senza ritorni elettorali immediati, fonte di ricadute positive tangibili solo dopo generazioni. A godere della manutenzione del territorio sono le classi di coloro che voteranno dopo 50 anni. Col cinico metro di giudizio di un politico contemporaneo, quelli in tema di ecologia sono atti di governo improduttivi.

   Meglio investire in panem et circenses e poi chiedere il voto. La questione ambientale non entra in cabina elettorale.

sabato 14 settembre 2024

Il Galatino anno LVII n° 14 del 13 settembre 2024

 

From Pompei with love

   Nei confronti di Gennarino Settebellezze, ministro dimissionario, registriamo a caldo due diversi atteggiamenti del pubblico maschile. Il primo è una malcelata invidia per il bruttino abile nel circondarsi di appariscenti compagnie femminili: conquiste imputabili, dice l’immaginario popolare, esclusivamente alla posizione di potere, dovendosi escludere un sex appeal non rilevabile ad una pur sommaria valutazione estetica. Il secondo sentiment verso il potente caduto in disgrazia è la commiserazione, tramutata spesso in accanimento, in attesa famelica di nuovi sviluppi mediatici sullo scandalo appena esploso; come del resto promette l’unica intervista televisiva rilasciata dalla signora “sedotta e abbandonata”, le affermazioni della quale lasciano intravedere ulteriori coinvolgimenti muliebri configuranti un harem ministeriale di cui, ad oggi 7 settembre, sfugge la consistenza numerica. In questa vicenda di fesso extraconiugale, chi rileva l’ennesima figuraccia delle istituzioni, dimentica però una tradizione italiana consolidata dal 1860.

   Tradizione ben dipinta dalla schietta volgarità del detto plebeo, precisamente quello che paragona la resistenza di un sottile particolare tricologico alla forza di trazione d’una fune intrecciata.