Piccola
storia inquinata
Nel lontano Regno di Ciuconia, nella regione
di Somaria, v’erano un tempo due tranquille cittadine confinanti tra loro. Le
cronache tramandano i loro nomi, Borgosole e Borgocivetta. Da tempo
immemorabile i rapporti tra le due comunità erano improntati ad amicizia e
benevola canzonatura; tanto che, come usava una volta, i paesani appellavano i
loro vicini col soprannome. Traducendo alla buona, gli uni erano “tribù di mangiatori
di gasteropodi”, gli altri “popolo vanesio dalle voluminose ed inutili guance”.
L’idilliaca convivenza venne però incrinata da una vicenda che ora raccontiamo.
Avvenne un giorno che il Duca di Borgosole, mosso
da appetiti di cui mai si è conosciuta l’origine (allora ci fu chi disse fosse spinto
da un’energia de fore), all’insaputa di tutti, persino dei suoi stessi
consiglieri anziani ed addirittura della consorte, per caso fortuito
consigliera anziana del Principe di Borgocivetta, dicevamo quel Signore concedesse
che ai confini del suo paese, ma molto vicino alle ultime case del paese
limitrofo, venisse allestito un grande forno di pattume. I cui fumi, a seconda
dei venti, sarebbero volati ad appestare la già poco salubre, diremmo
cementifera, atmosfera di Borgocivetta. Il fatto, trapelato dal Palazzo di
Borgosole, provocò nei due paesini una sollevazione ed un vespaio di polemiche e
accuse ai nobili Signori di entrambe le comunità (chiamati uno avido, pilatesco
l’altro), di cui abbiamo cronaca nelle gazzette locali e nei pettegolezzi del
Popolo: sedicente sovrano, mai decisore del proprio destino e, soprattutto,
della propria salute.
Nessuno ricorda come sia finita la storia. Una
chiave di lettura ce la suggerisce Vespasiano Flavio (imperatore romano, I°
sec. d.C.): “pecunia non olet”.