“Bonus” io, boni tutti
Esiste un’eletta schiera di persone il cui tenore di vita non
risente della crisi. Non parliamo della classe politica perché siamo certi di
aver stancato col ripetere le stesse giaculatorie, ma soprattutto perché per
dire qualcosa di realmente nuovo sui “nostri amati” – esaurito il florilegio di
improperi a disposizione di chi scrive – dovremmo inventare un glossario appropriato. Ci
collochiamo idealmente con quei tifosi che a S. Siro esibivano lo striscione
“Non sappiamo più come insultarvi”. Perciò si faccia avanti un epigono del
futurismo, un Marinetti della parolaccia, e ci munisca di nuove armi verbali, quelle
note essendo inadatte a tanto degrado.
No, stavolta parliamo invece degli happy few che prosperano comunque, “o chiove o tene”. Sono gli altissimi manager pubblici e privati, un
empireo di eccelse teste – nel senso di menti, non azzardiamo paragoni anatomicamente
impropri – quali mai si videro nell’universo mondo. Un esempio a caso. Abbiamo
un ente – che sia ancora pubblico non v’è certezza, ma sarebbe lungo da
spiegare – il cui compito è quello di raccogliere contribuzioni obbligatorie dai
lavoratori attivi ed erogare assegni mensili a quelli in pensione. Oltre che
provvedere ad invalidi e disoccupati. Bene, questo ente (participio presente
del verbo essere, senza ironia) in più occasioni ha mostrato impeccabile rigore
distribuendo pensioni di euro 2, dicasi due-virgola-zero-zero, causa trattenute
pari all’intero assegno mensile, a persone che con quella somma dovrebbero vivere
(?) e mantenere una famiglia per 30 giorni. Lo stesso ente (che pubblica
bilancio attivo, viceversa sarebbe un deficit-ente)
corrisponde al suo boss un emolumento
annuo di 1.200.000 euro. Si aggiunga che il manager in questione siede –
immaginiamo comodamente – in altri consigli d’amministrazione, per arrotondare
il magro stipendio, come un qualsiasi impiegato che il pomeriggio svolga lavoretti
extra.
Se appare quanto meno singolare un appannaggio degno del
Maharaja di Jaipur in un Paese dove alcuni anziani si suicidano per miseria e
disperazione, non saprei come definire il caso di quei dirigenti che intascano
principeschi bonus alla fine
dell’incarico. Vi chiederete: a missione compiuta? Non esattamente. I generosi
ringraziamenti d’addio vengono corrisposti qualunque sia l’esito di gestione
dell’ente o dell’impresa; per cui può accadere, ed è successo davvero, che
un’azienda in picchiata (mai definizione fu più consona) abbia staccato un assegno
da 3 milioni di euro a fine rapporto. Nome dell’azienda, Alitalia, nome
dell’amministratore, Cimoli. Il quale anni prima aveva incassato altri 6
milioncini da una “ditta” notoriamente ben gestita, Ferrovie dello Stato. Ora,
premesso che un nostro qualsiasi concittadino, anche il compianto Piripillì, se
investito di quegli incarichi, li avrebbe portati a termine con almeno pari
diligenza ed efficacia ma con minor esborso per le tasche dei contribuenti, mi
si esenti da ogni commento: in famiglia mi hanno impartito buone maniere, non
vorrei contravvenire proprio adesso.
Nessun commento:
Posta un commento