giovedì 11 aprile 2013

Il Galatino anno XLVI n° 7 del 12 Aprile 2013


“Bonus” io, boni tutti

Esiste un’eletta schiera di persone il cui tenore di vita non risente della crisi. Non parliamo della classe politica perché siamo certi di aver stancato col ripetere le stesse giaculatorie, ma soprattutto perché per dire qualcosa di realmente nuovo sui “nostri amati” – esaurito il florilegio di improperi a disposizione di chi scrive –  dovremmo inventare un glossario appropriato. Ci collochiamo idealmente con quei tifosi che a S. Siro esibivano lo striscione “Non sappiamo più come insultarvi”. Perciò si faccia avanti un epigono del futurismo, un Marinetti della parolaccia, e ci munisca di nuove armi verbali, quelle note essendo inadatte a tanto degrado.
No, stavolta parliamo invece degli happy few che prosperano comunque, “o chiove o tene”. Sono gli altissimi manager pubblici e privati, un empireo di eccelse teste – nel senso di menti, non azzardiamo paragoni anatomicamente impropri – quali mai si videro nell’universo mondo. Un esempio a caso. Abbiamo un ente – che sia ancora pubblico non v’è certezza, ma sarebbe lungo da spiegare – il cui compito è quello di raccogliere contribuzioni obbligatorie dai lavoratori attivi ed erogare assegni mensili a quelli in pensione. Oltre che provvedere ad invalidi e disoccupati. Bene, questo ente (participio presente del verbo essere, senza ironia) in più occasioni ha mostrato impeccabile rigore distribuendo pensioni di euro 2, dicasi due-virgola-zero-zero, causa trattenute pari all’intero assegno mensile, a persone che con quella somma dovrebbero vivere (?) e mantenere una famiglia per 30 giorni. Lo stesso ente (che pubblica bilancio attivo, viceversa sarebbe un deficit-ente) corrisponde al suo boss un emolumento annuo di 1.200.000 euro. Si aggiunga che il manager in questione siede – immaginiamo comodamente – in altri consigli d’amministrazione, per arrotondare il magro stipendio, come un qualsiasi impiegato che il pomeriggio svolga lavoretti extra.
Se appare quanto meno singolare un appannaggio degno del Maharaja di Jaipur in un Paese dove alcuni anziani si suicidano per miseria e disperazione, non saprei come definire il caso di quei dirigenti che intascano principeschi bonus alla fine dell’incarico. Vi chiederete: a missione compiuta? Non esattamente. I generosi ringraziamenti d’addio vengono corrisposti qualunque sia l’esito di gestione dell’ente o dell’impresa; per cui può accadere, ed è successo davvero, che un’azienda in picchiata (mai definizione fu più consona) abbia staccato un assegno da 3 milioni di euro a fine rapporto. Nome dell’azienda, Alitalia, nome dell’amministratore, Cimoli. Il quale anni prima aveva incassato altri 6 milioncini da una “ditta” notoriamente ben gestita, Ferrovie dello Stato. Ora, premesso che un nostro qualsiasi concittadino, anche il compianto Piripillì, se investito di quegli incarichi, li avrebbe portati a termine con almeno pari diligenza ed efficacia ma con minor esborso per le tasche dei contribuenti, mi si esenti da ogni commento: in famiglia mi hanno impartito buone maniere, non vorrei contravvenire proprio adesso.

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