Te adoremus, Domine Napolitano
La ragione, da facoltà
dell’intelletto, assurge a Dea venerata. Tra i suoi improvvisati sacerdoti vi sono
certi maestri di pensiero fondatori e direttori dei giornali della borghesia toscopadana,
delle cui solide fortune costruite grazie alle privatizzazioni prodiane (quindi
con i soldi di tutti) l’origine non può che essere pura: una specie di dogma dell’Immacolata
Accumulazione.
Cuius regio eius religio: è l’Italia,
altrimenti detta Napoletanistan, la nazione dove questo culto della Ragione comprende
e sostituisce tutti gli altri, mercè un catechismo imposto in maniera tanto
rapida quanto pervasiva. Si comprende che, come ogni religione, anche questa
non ammetta apostasie, scismi e protestantesimi. Ne consegue che la triade
delle Alte Cariche pendenti – Papa-Re Giorgio II°, cardinal vicario Pietro
l’antimafioso e Papessa Boldrina – non possa essere oggetto di critica
nell’espletamento del suo magistero laico; e che dogmi ed articoli di fede da
questa triade emanati debbano considerarsi intangibili. Si metta pure in
discussione la parola del Pontefice di Santa Romana Chiesa ma non quella del
sedicente garante della violentata Costituzione, difeso con protervia dal suo
clero militante su Repubblica, Corsera e media addomesticati.
Adorata da pittoresche
congreghe officianti nei Templi laici, come nel secolo dei lumi, con
l’obiettivo – dichiarato, mai conseguito – dell’emancipazione e del sostegno delle
masse proletarie (purchè provenienti dal
solo terzo mondo, ‘chè di quelle del primo non importa un beato manico), questa
sonnolenta Dea Ragione, come Francisco Goya ben dipingeva, genera mostri. Sicchè – in omaggio al politicamente corretto
– oggi al suo altare la Trimurti istituzionale reca in dono sacrifici umani: disoccupati
e cassintegrati di ogni età, pensionati al minimo. Con l’unico peccato
originale del passaporto italiano e la mancanza, per il diritto ad una vita
dignitosa, dell’indispensabile requisito dello sbarco dal gommone a Lampedusa.