Chi
decide cosa
La funzione dei sondaggi demoscopici è importante.
Per i dirigenti di un partito che vogliano misurare l’apprezzamento per la
propria azione da parte dell’elettorato, fidelizzato o conquistabile, le
percentuali in più o in meno delle intenzioni di voto hanno un peso. Rilevano
se l’indirizzo politico, come una qualsiasi merce sul mercato, soddisfi gli
orientamenti popolari oppure si debba correggere, ed in che direzione, verso
quali temi. È abituale che sondaggi negativi non siano resi pubblici se non in
forma edulcorata, o meglio mascherata, per non innescare un processo automatico
e progressivo di disaffezione dell’elettorato e perciò di diminuzione dei
consensi, spauracchio per ogni segretario di partito. Al contrario, spostamenti
percentuali favorevoli, anche in percentuale minima, vengono sbandierati in
prima pagina e con ampi sorrisi di soddisfazione. Questo avviene nella vita
normale di una democrazia.
In tempi eccezionali come questo, non
meraviglia che l’attuale Presidente del Consiglio goda del consenso di quasi 7
cittadini su 10, molto al di sopra dei membri del suo stesso esecutivo. Il
motivo potrebbe essere nella prassi dell’attuale Premier che usa ascoltare in
silenzio le indicazioni delle forze di maggioranza e poi decidere in assoluta
autonomia. Rivoluzionando l’abitudine consolidata sinora, secondo la quale ogni
Capo di Governo ha dovuto fare sintesi, cioè “accontentare”, tutti i partiti
indistintamente, con un rallentamento dell’azione politica che spesso si è
tradotto in immobilismo gestionale.
Può piacere o no ma, per guarire un corpo istituzionale
sofferente, questa è una cura senza alternative proponibili al momento.
Dovremmo chiederci allora come e perché si è arrivati alla malattia.