Come
prima, più di prima
È in carica il 68° governo, espressione
della maggioranza della XIX Legislatura. La statistica afferma che la durata
media dei governi repubblicani è compresa tra 13 e 14 mesi. Le prime
dichiarazioni della neo Presidente del Consiglio ribadiscono la volontà di
esercitare il mandato per i 5 anni di vigenza della Legislatura. Il pittoresco
dibattito interno alla coalizione vittoriosa, precedente la nascita
dell’esecutivo, non induce però a condividere tanto ottimismo.
La differenza sostanziale con gli altri 67
gabinetti, absit iniuria verbis, risiede nel fatto che a presiederlo
sarà una donna, per la prima volta nella storia italiana; è interessante constatare
come l’evoluzione istituzionale non sia riuscita alle coalizioni di
centrosinistra, che hanno sempre vantato la parità di genere quale punto qualificante
e distintivo dei programmi elettorali. Rilevato questo, non si scorgono novità
significative nella composizione “geografica” delle attribuzioni ministeriali.
Oggi, come nel passato prossimo e remoto sin dall’Unità, la rappresentanza settentrionale
occupa la maggioranza degli incarichi, quelli più prestigiosi. In particolare,
resta saldamente in mano padana il Ministero delle Finanze. Del titolare entrante
di quel dicastero omettiamo di ricordare le furbizie ai danni dell’economia
meridionale in favore del Nord: avendo voglia e dotandosi di non comune
robustezza di stomaco, si può forse ritrovarne traccia nelle cronache di questi
anni, soltanto nella residua stampa libera.
Chi scrive ha condotto una breve ricerca che
non ha pretese di rigore scientifico, anche perché in continuo aggiornamento:
indagine riguardante la presenza di ministri meridionali nei governi della
Repubblica. Con buona approssimazione ma non lontano da dati definitivi e
dimostrabili per tabulas, si può affermare che il 34% della popolazione meridionale
(statistiche 2019) è stato rappresentato solo da 15 Presidenti del Consiglio
(22% dei 68 totali); in questi esecutivi la percentuale di ministri provenienti
dalle regioni del Sud ha oscillato dal massimo del 48% nel governo Colombo (nel
lontano biennio agosto 1970-febbraio 1972, ma con molti dicasteri meramente
onorifici e senza peso politico) al minimo del 4% nell’esecutivo Renzi (febbraio
2014-dicembre 2016). In media, la rappresentanza ministeriale del Sud si è
attestata al 20% in meno rispetto al dato demografico, molto spesso in ruoli di
seconda fila.
Ciò che più risalta in queste cifre, aride
ma altrettanto significative, è il totale di politici meridionali che hanno guidato
i ministeri economici, ossia i centri di spesa. Una pur sommaria ricognizione
mostra ciò che è evidente, solo che lo si voglia notare. I dicasteri economici
sono stabilmente nelle mani degli esponenti settentrionali, che rappresentano poco
più di 45 italiani su 100 (2019), dalla fine della cosiddetta Prima Repubblica (biennio
1992-1994, Amato-Ciampi-Berlusconi I) in poi. Così come a suo tempo i fondi del
piano Marshall di aiuti postbellici statunitensi vennero dirottati in massima
parte nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova, allo stesso modo il PNRR
è già stato massicciamente destinato al Nord, sottraendo con forzature
contabili-amministrative-legislative (grazie ad una interpretazione
“capricciosa” ed estensiva della riforma del Titolo V della Costituzione) ciò
che la volontà comunitaria europea assegnava al Sud Italia con fine
perequativo. È bene ricordare che istituti di ricerca economica nazionali ed
europei affermano senza mezzi termini che il divario di sviluppo tra le
macroregioni italiane è andato aumentando ininterrottamente dagli anni ’70 in
poi ed è di gran lunga il maggiore a livello comunitario. Una, ma non la
principale, delle conseguenze di questa peculiarità tutta italica è il calo
demografico meridionale dovuto ad emigrazione per cause di lavoro e denatalità.
Non voglio tediare. La mia opinione
personale è che nel governo Meloni, come nei precedenti, la presenza di
esponenti politici sudici (simpatico neologismo padanleghista) sia una
formalità necessaria a fornire all’esecutivo la parvenza di una pluralità
regionale pressoché del tutto assente. Nihil novi sub sole.
Anche stavolta non si disturbi il
manovratore. Mi correggo: la manovratrice.