Succede
anche qui
Assurta a “caso” mediatico nazionale, la
cronaca nera galatinese induce a riflessioni dettate da quel sentire comune ormai
lontano anni luce da certi ambienti intellettuali. Siccome riteniamo sempre
valida la massima vox populi vox Dei, traiamo spunto dalla saggezza
popolare.
Adolescenti esposti alla rappresentazione costante
e pervasiva della violenza nei videogiochi, nei programmi televisivi, al
cinema, non allenati a distinguere, elaborano in maniera distorta stimoli e informazioni,
confondendo finzione e realtà. A ragione di ciò, in una personalità ancora in
fieri, il sangue e il dolore di un videogame possono arrivare ad assumere
lo stesso valore, che potremmo impropriamente definire “ludico”, della
sofferenza di un giovane con problemi di disabilità, solo e indifeso contro il
branco ed esposto all’umiliazione di un pestaggio atroce trasmesso in diretta
da cellulare. Poiché il perverso modello anglosassone di autoaffermazione oggi
imperante prescrive che il quivis de populo possa acquistare tanto “prestigio”
quanto più “appaia” e sia apprezzato, si rendono necessarie la fruizione
pubblica e la “validazione” delle sue “gesta”, mediaticamente certificate dal
numero di visualizzazioni. Tale lo scopo dei famigerati post,
testimonianze degli ignobili episodi di violenza diffuse attraverso i social.
Agli studiosi delle dinamiche sociologiche
il compito di analizzare gli effetti nefasti della cosiddetta “cultura” urbana angloamericana
dei rapper e delle loro gang, che i media nostrani
diffondono spensieratamente, senza filtri. Sottoprodotto ideologico di uno
Stato il cui primo cittadino sceglie prevaricazione e forza delle armi quali mezzi
metapolitici delle relazioni internazionali.
Ma, tornando al nostro episodio: la voce del
popolo chiama in causa i genitori, cui spettano compiti di presenza costante, di
controllo, di esempio, e scagiona scuola e società da responsabilità educative che
sono peculiarità del ruolo parentale. Ci sentiamo di dare ragione alla “gente”.