Pino Aprile a Galatina
Novembre 1832: va in stampa “Le mie prigioni” di Silvio Pellico. Il principe von Metternich dichiara in seguito che quel libro ha danneggiato l’impero austriaco più di una battaglia perduta. C’è una ratio che unisce editoria e politica in concatenazioni di cause ed effetti, anche nella nostra epoca dominata dalla tv spazzatura; a volte questo legame sfugge ai commentatori, persino i più accorti, ma le conseguenze di alcune letture incidono nel profondo della società. Forse non rimarrà traccia del profluvio di pagine di Bruno Vespa, quasi tutte superflue cronache di questi anni mediocri. Certamente ricorderemo “Gomorra” di Saviano, per il coraggio della denuncia. Ma molto dovremo riconoscere ai libri di Pino Aprile, ospite a Galatina il 18 novembre scorso per la presentazione del suo ultimo lavoro “Giù al Sud”. È un fiume carsico, quello degli intellettuali meridionali che a diverso titolo si sono occupati della storia del cosiddetto Risorgimento, derisi ed osteggiati dalla cultura ufficiale. Tra i moltissimi, penso ad Angelo Manna, avvocato e giornalista napoletano che acconsentì ad entrare in Parlamento solo per denunciare le stragi sabaude, e per questo venne espulso dal suo partito; egli consigliava a noi conterranei “Uscite dai partiti nazionali”. Voleva ripartire dalla plurisecolare autonomia statuale del Meridione il grande Nicola Zitara (citato nel libro di Aprile), che dimostrò per tabulas come l’attuale ricchezza del nord derivi direttamente dalle razzie finanziarie e sociali postunitarie compiute sul corpo opulento del Regno delle Due Sicilie. Secondo una scuola di pensiero politico che abbraccia l’intero “arco costituzionale”, certa storia e certe storie, ancora oggi, è bene non circolino e non si raccontino ai giovani per paura di destabilizzare la già traballante (ed ora commissariata dalle banche) repubblichetta. È evidente che occultare i fatti, se pur lontani 150 anni, non giova alla causa; non vorrei dover interpretare in quest’ottica la tiepida accoglienza di alcuni dirigenti scolastici all’incontro mattutino degli studenti con Pino Aprile. Ecco, il nostro Autore dà voce orchestrata alla miriade dei singoli cantori dell’orgoglio meridionalista; egli descrive un fenomeno vastissimo, pur ignorato colpevolmente dai media. “Terroni” ha portato al grande pubblico la vera storia, nascosta per vergogna e per meschino calcolo politico; “Giù al Sud” continua idealmente raccontando le eccellenze meridionali e la circostanza felice e travagliata della restanza giovanile, quella delle menti brillantissime che, dopo esperienze di studio e lavoro “fuori”, rientrano alla terra d’origine per vivificarla del proprio apporto. Su queste forze fresche, conclude Pino Aprile, il nostro Meridione sta fondando il suo futuro. L’ottimismo del nostro Autore si spinge a preconizzare che questo rinascimento, fatto culturale prima ancora che economico, possa salvare l’Italia intera dalla decadenza. Questo potrebbe anche avvenire, ma chi scrive ritiene che sarebbe l’ennesima donazione di sangue meridionale all’organismo del nord ipertrofico e malato di leghismo, senza alcuna contropartita. Dopo 150 anni, è davvero troppo.