“Pompeo, ‘nsapuna!”. E Pompeo, 8 anni e mezzo, discipulo di
barbiere, vota veloce il pennello nella vucalina di alluminio della crema da
barba fino a ‘mpastare una schiuma bianca e densa, che strica sulle guance del
cliente. “Mescio Tore, pronti!”. E così ogni vespara, nel salone di Vico della
Gatta. Spazzare i residui di taglio da terra, pulire il lavandino ad ogni barba
e capelli, tornare a casa con qualche moneta da 10 lire delle mance in poscia.
E, stracco morto, dopo cena mandare a memoria la tabellina del 7 e fare il
riassunto.
Ancora lontano, sente pàtrisa già ubriaco alle 8 della sera,
dopo la putìa, litacare per strada col vicino, compare Uccio: “Scusa, compare,
ma stu parcheggio pe’ l’Apu te lo hai stipulato? Ma cce aggiu ffare, una
rinuncia ai Carbunieri cu te spostu
de cquai?”. La mamma lo tira per un
braccio, cridando più forte di lui. “Cici! Maledettu ‘mbriacone, faci me scornu
sempre! Trasi, trasi ccasa, moi ha trasire!”.
“Signora, il bambino è bravo ma… lo vedo stanco, ultimamente.
Come mai, che succede? Dovete farlo studiare, promette bene.” dice la maestra
Assuntina alla mamma. “Coltroppo, maestra ‘Ssuntina, il vagnone ‘iuta ‘ccasa.
La vespara fatìa ddhra mescio Tore Canemorto, dietro a Santo Pantaleo”. Ma osce
è giornata speciale e Pompeo torna ‘ccasa sorridendo. Maestra ‘Ssuntina lo ha
chiamato alla cattedra per l’interrogazione di scienze, lui ha risposto a tutte
le domande. La maestra gli ha detto “Bravo!” e gli ha messo 10 sul quaderno, poi
ha tirato fuori dalla borsa una Rossana e gliel’ha regalata.
“Dottore, c’è il paziente dell’appuntamento delle 6”. Il
dottor Pompeo rimette nella tasca del camice una vecchia foto ingiallita della
IIIa D anno scolastico 1966-67, asciuga una lacrima e tira su col naso, di
spalle all’infermiera. “Un po’ di raffreddore, signorina. Faccia entrare il paziente,
grazie”.
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