Le sue prigioni
Come impiega il suo tempo una
ministra della repubblica bananiera, oltre a guardare i sigilli? Cura qual
premurosa badante la salute cagionevole dello Stato, anziano di debole
Costituzione? Riordina commi e pandette e spolvera codici nella Regia Libreria di
Giorgio II? Presenzia a convegni sui problemi della giustizia – inutili e puntuali
ogni stagione come le piogge d’autunno – o passa in rassegna impettiti plotoni
di guardie carcerarie, al ritmo simil-marziale “dell’elmo di Scipio”, la mazurka variata del duo Mameli-Novaro?
Certamente una ministra fa tutto
questo (“Una ministra lei? Ma mi faccia il piacere, al massimo una minestrina
scaldata!” direbbe Totò), ma anche altro. Principalmente telefona, eccome se
telefona! Con scatto alla risposta, ovviamente: scattano tutti sull’attenti in soccorso
di una bionda fanciulla ospite degli “alberghi” di Stato, ragazza che per caso fortuito
appartiene alla famiglia degli ex datori di lavoro del figlio della suddetta
ministra. Un piccolo caso, appunto: col diminutivo che state immaginando.
Negli stessi giorni in cui
assistiamo all’ultima commedia degli equivoci, il prestante (nel senso che si
presta, alle imposizioni dei suoi danti causa stranieri) autista del governo
Alfetta – e chiedo venia agli estimatori della vecchia bella auto, essendo io pure
tra questi – con grande sprezzo del ridicolo chiede che “l’Italia non sia
guardata come il Paese più burocratico e borbonico”. Il nipotino di zio Gianni
ignora o fa finta di ignorare che, se il Paese è in queste condizioni, lo
dobbiamo ai suoi avi affamati ed indebitati che 153 anni fa scesero, pezze al
sedere, ad impadronirsi con la violenza di uno Stato ricco e governato sobriamente.
Bisogna spiegarlo, al giovanotto. Ma con delicatezza, per evitargli traumi.
Nessun commento:
Posta un commento