venerdì 15 novembre 2013

Il Galatino anno XLVI n° 18 del 15 Novembre 2013

Le sue prigioni

Come impiega il suo tempo una ministra della repubblica bananiera, oltre a guardare i sigilli? Cura qual premurosa badante la salute cagionevole dello Stato, anziano di debole Costituzione? Riordina commi e pandette e spolvera codici nella Regia Libreria di Giorgio II? Presenzia a convegni sui problemi della giustizia – inutili e puntuali ogni stagione come le piogge d’autunno – o passa in rassegna impettiti plotoni di guardie carcerarie, al ritmo simil-marziale “dell’elmo di Scipio”, la mazurka variata del duo Mameli-Novaro?
Certamente una ministra fa tutto questo (“Una ministra lei? Ma mi faccia il piacere, al massimo una minestrina scaldata!” direbbe Totò), ma anche altro. Principalmente telefona, eccome se telefona! Con scatto alla risposta, ovviamente: scattano tutti sull’attenti in soccorso di una bionda fanciulla ospite degli “alberghi” di Stato, ragazza che per caso fortuito appartiene alla famiglia degli ex datori di lavoro del figlio della suddetta ministra. Un piccolo caso, appunto: col diminutivo che state immaginando.

Negli stessi giorni in cui assistiamo all’ultima commedia degli equivoci, il prestante (nel senso che si presta, alle imposizioni dei suoi danti causa stranieri) autista del governo Alfetta – e chiedo venia agli estimatori della vecchia bella auto, essendo io pure tra questi – con grande sprezzo del ridicolo chiede che “l’Italia non sia guardata come il Paese più burocratico e borbonico”. Il nipotino di zio Gianni ignora o fa finta di ignorare che, se il Paese è in queste condizioni, lo dobbiamo ai suoi avi affamati ed indebitati che 153 anni fa scesero, pezze al sedere, ad impadronirsi con la violenza di uno Stato ricco e governato sobriamente. Bisogna spiegarlo, al giovanotto. Ma con delicatezza, per evitargli traumi.

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