Ammoniti ed espulsi
Ho smesso di seguire il calcio una
sera del maggio 1985, nauseato dalle immagini dell’Heysel. 39 morti, la “gara” in
un clima surreale ed i festeggiamenti in campo e fuori nonostante la tragedia. Una
idiozia senza motivazioni ancora oggi. Ad ondate regolari altre cronache per
fortuna meno cruente, comunque disgustose, rafforzano il mio rifiuto: gli
scandali scommesse, i campionati falsati, la sudditanza di arbitri e
giornalisti alle società del centro-nord… Andreotti raccontava che in Italia c’è
un elenco di matti che pretendono di riformare le ferrovie. Esiste pure una
lista di quelli che, appena insediati ai vertici della Lega Calcio, proclamano a
parole di voler moralizzare il sistema.
I media descrivono una finale di
Coppa funestata da scontri con sparatoria e feriti gravi, una partita bloccata
da frange facinorose, iniziata in ritardo grazie ad intese “diplomatiche” tra
forza pubblica e capi ultras. C’è una perversa logica, nel paese che delle
trattative stato-mafia ha fatto la sua cifra stilistica dal 1860. Dove una
altissima carica istituzionale chiede ed ottiene la distruzione di intercettazioni
imbarazzanti intercorse con la malavita organizzata, giù per li rami il nobile esempio rende leciti gli accordi tra un vicequestore
e “Genny ‘a carogna”.
Al netto del degrado nello sport degli
stadi, apprezzo quella goliardia urticante che si manifesta coi mezzi e tempi
più improbabili. C’è del sublime, a parer mio, nella scritta in spray nero sul
cassonetto della spazzatura: “Trasi a
casa barese” è il parto di una mente geniale, anche se forse male impiegata.
E neppure difetta di spirito l’ignoto che sferza i rivali con una battuta
sfiziosa. “Quanto hai preso all’esame figlio mio?” – “30, papà” – “Sul libretto
c’è scritto 28!” – “Si, ma io sono juventino…”.
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