Il papiello secondo Matteo (06.14)
Dalla lettera di S. Paolo Intesa
agli azionisti.
“In quel tempo, dopo aver scalato
MontePaschi e Montecitorio, Matteo aveva chiesto udienza ai potenti della
terra. I governatori di Alemagna, Anglia e Gallia gli avevano sbarrato le porte
dei palazzi come davanti al lebbroso, ma il loro disprezzo era stato celato al
popolo dagli scribi italici. Così egli era sCOOPpiato in un pianto dirotto ed
aveva chiesto consiglio e rASSICURAZIONI ai suoi GENERALI. Quindi, scortato da
fidati UNIPOLiziotti, Matteo era tornato tra Pedemontani, Longobardi e Veneti; e, sollevandola dalla
CASSA DI RISPARMIO in cui era custodita, offrì alla venerazione della folla
plaudente degli elettori la sacra TAVola EXPOsta del profeta MOSE; poi tra
fumi, incensi ed osanna di gioia, alzò le braccia al cielo e concesse benevolo il
perdono e l’impunità implorati ai primi greganti ma anche a tutti i ladroni rottamati
che lo avessero seguito. Ciò secondo la volontà del tiranno neapolitano, colui
che tutto poteva, sopra ed oltre ogni legge. Narrano gli scrivani di corte che,
alle sue parole, era prodigiosamente resuscitata la patria tangentara già troppo
in fretta dichiarata morta come Lazzaro, e da lazzaroni debenedetti riSORGENIAta.
In quei giorni anche i giannizzeri
del sultano Al Fan, la setta di Farsital e tutti gli infedeli adoratori del
Biscione d’oro si erano convertiti al matteismo e, riparati al suo gregge, attendevano
fiduciosi l’opulenta mangiatoia che sarebbe venuta a nutrirli. Così è scritto. Sia
lode in eterno a Matteo. Alleluia alleluia.”
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