Tra il dire e il fare c’è di mezzo l’Arno
Le ultime intercettazioni
giudiziarie scoprono che i nuovi affiliati giurano fedeltà alla ‘ndrangheta sui
nomi di Garibaldi, Mazzini e La Marmora, guappi
della retorica risorgimentale e miti onnipresenti della toponomastica, insieme
a Vittorio il vittorioso. E – notizia in apparenza scollegata – in questi
stessi giorni il premier dall’insuperato Q.I., ovvero quoziente
d’inaffidabilità, viene in visita pastorale in Terronia (e già, scende a tosare
il suo gregge) ed afferma senza ombra di rossore in viso che il Meridione,
dall’unità, ha subito danni incalcolabili. Apprendiamo con stupore questa “inedita”
rivelazione, dalla stessa persona che in consiglio dei ministri destina il 90% e
più dei fondi alle regioni settentrionali e che col famigerato decreto “Sblocca-Italia”
concede alle multinazionali padane e straniere il definitivo via libera alle
devastazioni petrolifere nel Sud, dove notoriamente non esiste inquinamento e
si defunge di morte naturale in tarda età. La provenienza del giovanotto dal “Grandu’ato”
dove visse e scrisse il Machiavelli, è indizio oggettivo del modus operandi e soprattutto governandi.
L’incongruenza tra ciò che
annuncia e ciò che fa lo “statista” di Rignano sull’Arno mi esime dall’onere
della prova di quanto dico, e cioè che non c’è iato nella politica nazionale
nei confronti del nostro Sud: si continua oggi, similmente a 154 anni fa, a
sfruttare e trasferire risorse umane ed economiche dal meridione alla tosco-padana.
Ora, che la mafia – inesistente prima dell’unità, come affermava tra gli altri il
povero giudice Chinnici – e lo stato
(comatoso) siano scesi a patti con reciproco vantaggio dal 1860 in poi, è cosa nota
a molti. Anche a quelli che non hanno avuto accesso alle telefonate
quirinalizie. Che questa entente cordiale
sia la fonte battesimale delle fortune nordiste e dei problemi “sudici”, lo
sanno ancora in troppo pochi. L’ignoranza (in senso etimologico) della nostra
storia alimenta il potere del fascio dei partiti nazionali, nessuno escluso, e
quindi è causa della nostra debolezza.