“Non
restare chiuso qui, pensiero”
Qualche famoso, ma non abbastanza da non
poter essere dimenticato post mortem, anni fa ebbe a dire che entro
breve tempo avremmo assistito ad una progressiva restrizione delle libertà.
Credo non ci siano dubbi che questo avvenga oggi. Siccome il processo è lento e
graduale, non è percepibile se non paragonando la nostra attuale possibilità di
movimento e contatto e scambio intellettuale col prossimo rispetto a due, tre
anni fa.
Si dirà che l’emergenza pandemica impone
cautele personali e collettive; che è responsabilità individuale proteggere sé
stessi e gli altri; che, infine, il bene di tutti è una costruzione in cui il
singolo mattone deve incastrarsi ed aderire perfettamente per garantire la
stabilità dell’intero edificio.
Tutto giusto e sacrosanto. Ma, rifletto, in
questa colossale clausura viene meno per atrofizzazione, ridotto all’immobilità
nell’angusto spazio delle quattro mura domestiche, anche l’esercizio minimo di
quel muscolo metafisico che è il discernimento: i cui movimenti sono la voglia
di capire, di scegliere e, quando necessario, di dissentire.
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