Sulla
violenza
La violenza assume infinite forme. Può
essere verbale, in prospettiva dannosa quasi quanto la coercizione fisica, per il
modello negativo inculcato nelle menti meno allenate al ragionamento selettivo.
Violenza omissiva: a parere di chi scrive come quella impiegata, per dirne una,
dallo Stato che dirotta i fondi destinati per legge europea ad una parte del
Paese trascurata ab initio ad altra zona, beneficiaria da sempre di
maggiori attenzioni (leggasi fondi, capitoli di spesa, stanziamenti,
elargizioni).
C’è la violenza di genere, quella causata da
motivi razziali, la violenza politica. È in ogni caso una manifestazione di
disadattamento e di incapacità relazionale, di disagio, oltre che, come narrato,
di scarsa attitudine alla riflessione ed al confronto dialettico.
Una cosa è necessario dire con franchezza. Il
becero applauso di scherno alla bocciatura di una legge sulle discriminazioni,
ma anche il richiamo (si direbbe un riflesso pavloviano) ad ideologie morte e
sepolte dalla storia, attribuite strumentalmente agli avversari nel tentativo
di esorcizzare, o peggio negare, il valore democratico della voce di milioni di
voti, sono la rappresentazione plastica della perdita di autorevolezza che il
personale politico manifesta ai cittadini. Di conseguenza non deve meravigliare
che uno spirito poco attrezzato, forse inconsapevole della miseria del suo gesto,
si sia accanito (maldestramente, a giudicare dai simboli utilizzati) contro la
sede locale del sindacato, istituzione più prossima alle classi non garantite. All’azione
stessa che definisce e circoscrive il livello del suo autore, non va attribuita
eccessiva importanza; ma è indice del decadimento degli esempi che vengono
dall’alto.
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