Selfie col morto
Provo ad esporre, con doveroso e spontaneo rispetto,
mie considerazioni personali sulla scomparsa di Maurizio Costanzo. Ritengo che
ogni evento nell’esistenza di una celebrità perda la riservatezza propria della
ricorrenza familiare, per diventare celebrazione coram populo. Gravidanze
e nascite, ménage coniugali soporiferi oppure frizzanti, amori
clandestini e vacanze in luoghi esotici: richiama interesse pubblico “tutto
quanto fa spettacolo”, come recitava un rotocalco televisivo degli anni ’80.
Persino la morte, che dovrebbe recare il sigillo intoccabile: mortuis nihil
nisi bonum.
Straparla invece senza remore un critico
televisivo, mentre in una chiesa della capitale si svolge la cerimonia funebre
trasmessa in diretta. "La sua era una Tv da uomo di potere... Aveva la
capacità di tenere sempre il piede in più scarpe... Ha creato dei personaggi
che sono sopravvissuti, ma ha creato anche dei mostri, nel senso di persone
esaltate, fuori di testa... Il personaggio mi piaceva moltissimo, ma non mi
piaceva la persona. Uno iscritto alla P2, uno che ha intervistato Licio Gelli,
l’abbiamo rimosso?". Con la sua stroncatura estemporanea ed
inopportuna, anche perché rivolta non al professionista ma all’uomo, Aldo
Grasso ci è parso annullare la distanza che separa il “venerato maestro” dal
vecchio uscito di senno.
Smarrito il contegno riservato agli avvenimenti
luttuosi, proprio come capita al forse troppo ascoltato scrittore di questioni
televisive, sui social si scatenano anonimi detrattori. Perfidamente sottolineano
che la demolizione dell’ultimo tabù, il selfie con la vedova davanti al
feretro, è il prodotto culturale del genere trash caro al duo
Costanzo-De Filippi. In tutta onestà, è mia opinione che non siano stati i soli
ed i principali megafoni di cattivi esempi mediatici, ma quelli di maggior
successo: una presunta colpa o una bravura indiscutibile, a seconda delle
opinioni, che in molti suscita invidia mal dissimulata.
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