Mutismo
e rassegnazione
“Ho perso le parole”: Luciano Ligabue trascrive
“frammenti di un discorso amoroso”, ma l’incipit del brano si
presta a tratteggiare con due pennellate l’angoscia di chi scrive per
professione o per diletto, nel momento in cui gli appare evidente la sterilità
del suo esercizio intellettuale. Difficile dire come e perché questo avvenga. La
ragione più semplice potrebbe essere la consapevolezza della mancanza di
sintonia col mondo contemporaneo ed i suoi temi. Si può anche ritenere, senza
presunzione ma con una discreta dose di pessimismo, che gli argomenti condivisi
siano riflessioni improponibili ad un pubblico vasto. Non è tempo di
approfondimenti, quello in cui la conversazione è scambio di emoticon e
la convivenza banale digitalizzazione di rapporti umani, condensati nel grz
e prg, quando - eccezionalmente - si voglia apparire educati e
rispettosi della netiquette.
Qualcuno ha scritto che l’uso pervasivo del
cellulare, sostituto informatico di cervello e voce, ha soppresso la
comunicazione verbale e, di conseguenza, l’incremento del patrimonio personale
di vocaboli. Sembra poca cosa, non lo è.
"Non si tratta solo della
diminuzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze del
linguaggio che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso... La
graduale scomparsa dei tempi (...) dà origine a un pensiero nel presente,
limitato al momento, incapace di proiezioni nel tempo... Senza parole per
costruire ragionamenti, il pensiero complesso caro a Edgar Morin viene
ostacolato, reso impossibile... Più povera è la lingua, meno pensiero esiste...
Non c’è pensiero critico senza pensare." *
Ho perso le parole anch’io. Nell’attesa di
recuperarle, propongo quelle di chi ancora ne possiede.
* https://vittoriodublinoblog.org/2021/03/15/il-calo-del-quoziente-intellettivo-limpoverimento-del-linguaggio-e-la-rovina-del-pensiero/
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