Alla
prova dei fatti
C’è stato un periodo della nostra storia in
cui la politica praticata e vissuta ha avuto un ruolo importante nella società
italiana, tanto pervasivo da imporre regole di comportamento nelle amicizie e
persino nei rapporti familiari. Chi ha i capelli bianchi non dimentica, solo
per portare un esempio, le sedute di autocoscienza in cui anche le dinamiche
coniugali subivano un processo pubblico nei “collettivi”. Ricordo un episodio
dei tempi del ginnasio (allora si chiamava così il biennio iniziale del liceo classico):
un compagno di classe, dichiaratamente apolitico, venne abilmente indottrinato
ed arruolato in una formazione giovanile di destra nel breve volgere di due o
tre “giri di villa”. Salvo poi riacquistare autonomia di pensiero con lo
spuntare dei denti del giudizio, pochissimi anni dopo.
Questa favoletta morale, per ribadire il
vecchio adagio che vorrebbe che si nasca rivoluzionari per morire conservatori.
Si può irretire un ingenuo, deluso uditorio di elettori mostrandosi estremisti
antieuropei, anti-NATO e sovranisti monetari, e conquistare in questo modo la
maggioranza parlamentare. Ma il debutto al potere sui tappeti del Quirinale e
delle sedi internazionali impone passi felpati (nonostante il tacco 12, che
slancia un po’ la figura), misura nelle parole e negli atteggiamenti, atti di
governo che abbiano ricadute positive. Il giudizio su un leader non risente
dello sfarzo di un summit e dei suoi pranzi di gala, ma dall’andamento dei dati
economici e dal prestigio internazionale di cui si gode. La storia, ancora magistra
vitae, mostra che una politica a “conduzione familiare” (sorella, cognato,
amici e collaboratori domestici) non ha mai portato lontano.