lunedì 29 marzo 2010

Al capezzolo dell'Italia - 29 Marzo 2010

L’Italia è malata: politici di ogni colore accorrono al suo capezzale. O meglio al suo capezzolo.
Con le sole eccezioni di un poeta di Terlizzi e di un anchorman romano, i nostri rappresentanti apprezzano a larga maggioranza quel particolare dell’anatomia muliebre identificato dal sostantivo bisillabo che evoca la parte per il tutto.
Mossi da complicità virile, glissiamo sulle gesta erotiche dei maschi in auto blu. Le vicende boccaccesche degli onorevoli playboys ci insegnano che l’attività parlamentare provoca noia e solitudine, alleviate con sessioni di ginnastica da camera; e ricordano che il politico è pur sempre un uomo, biologicamente programmato alla trasmissione del patrimonio genetico. Compito in cui eccelle un impunito settantenne, a dispetto dell’anagrafe e scherno dell’alto ufficio istituzionale.
Si potrebbe allora supporre che “l’aula sorda e grigia” possieda virtù afrodisiache sconosciute ai tempi austeri della Prima Repubblica. Ne prendiamo atto, invidiosi dei generi di conforto che signore compiacenti dispensano ai fortunati destinatari.
Sovviene la ballata allegra del primo De Andrè, quel “Carlo Martello” che canta il ritorno in patria dell’eroe ansioso di dolcezze femminili, anche mercenarie.
Una delle tanto celebrate escort potrebbe raccontarci delle frequentazioni con i reduci dalle battaglie di Montecitorio o Palazzo Madama.
E farci scoprire la sua delusione dopo aver sognato un tête-à-tête col Sen. Carlo Magno, ritrovandosi poi in intima compagnia dell’On. Pipino il Breve.

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