Da che mondo è mondo…
“Se non ora, quando?”. Se lo son chiesto in molti, manifestando nelle piazze italiane il 13 febbraio. Hanno inteso contestare una certa deteriore immagine femminile emersa dal pettegolezzo d’alcova, oggi arma di lotta politica e giudiziaria, contrapponendo un’idea positiva della donna che da molto tempo è largamente condivisa nella società moderna. L’eccezione ad una commendevole dirittura morale è costituita dal comportamento di poche giovani, convinte che la via breve dell’affermazione personale inizi dalla disponibilità al potente di turno: con maggiori chance di successo quando nelle mani del satiro cui concedersi coesistano entrambi i poteri, politico e mediatico. Credo che l’esecrazione per questo patetico scambio di favori sia universale ed indiscussa, e prescinda dall’ hic et nunc: dovunque ed in ogni tempo, sotto le dittature ed in democrazia, qualcuno ha goduto (letteralmente) del proprio status per ottenere grazie muliebri altrimenti negate (con biunivoco vantaggio per “donatrice” e “ricevente”). Nihil novi sub sole.
Due esempi, i primi che ricordi, diversissimi per epoca e regime politico: già avanti con gli anni, Mao Zedong usava appartarsi con generose compagne (maggiorenni), che rapidamente facevano carriera nel PCC; poi l’affaire di Bill Clinton con la compiacente stagista (maggiorenne) nella stanza ovale. Quell’abitudine disinvolta e poco nota accresceva l’idolatria verso il “Grande Timoniere” ma unicamente nel suo entourage; non altrettanto può dirsi del Presidente democratico USA, piegatosi ad imbarazzanti scuse pubbliche. Ed anche qui da noi la consuetudine con giovani disinibite suscita giusta disapprovazione e compatimento per un anziano ricco costretto a pagarsi compagnia mercenaria per lenire la solitudine.
In conclusione, la manifestazione di folla della scorsa domenica ha riproposto una concezione limpida della dignità femminile che è ormai patrimonio di tutti…o quasi.
Con questo spirito, sarebbe pur apprezzabile una sollevazione popolare contro una figura di donna che giornali e televisioni continuano ad esibire in pubblicità, senza distinzioni di sorta tra media generalisti o specialistici, fasce d’orario e target di lettori o telespettatori. Il messaggio proposto alle generazioni nuove è scorretto e diseducativo, oltre che umiliante per la donna: la vera ribellione sarebbe boicottare quella carta stampata e quelle trasmissioni, ed i loro inserzionisti.