Popper al vento (e Platone guarda)
Della politica si è detto tutto,
o quasi. È difficile discuterne secondo le categorie morali correnti, piuttosto
elastiche. Conviene allora ritrovarci alla scuola di Platone, colà portati per mano da Karl Popper. Del filosofo
austriaco ci viene riproposto un “bignami” sulla democrazia, bugiardino
contenente avvertenze ed istruzioni d’uso del medicinale (in caso di
sovradosaggio, consultare immediatamente il medico).
I due eleganti gentiluomini, a
distanza di 2500 anni l’uno dall’altro, ci propongono la stessa luccicante mercanzia:
un concetto aristocratico del governo, secondo cui i migliori (nessuna
indicazione sul come sceglierli) dovrebbero
amministrare lo Stato. Una repubblica ideale che però, ne converrete, contrasta
alquanto con lo spettacolo offerto dalla variopinta fauna asserragliata nei due
rami del parlamento e sui colli fatali, e lì insediata per meriti di clan o di letto. Una casta che in discreta
percentuale (20%, voglio essere buono) risulta sottoposta ad indagini della
Magistratura per reati i più vari, generalmente riguardanti corruzione o
disinvolta gestione del pubblico denaro: le mie, le vostre tasse. Ciò non
impedisce loro di sostenere un governo non eletto da volontà popolare ma
imposto dai poteri stranieri, quelli che hanno affossato la nostra economia per
fagocitarla per pochi soldi. È esattamente la degenerazione della democrazia
descritta da Platone, che infatti la aborriva. Ne consegue che il “governo del
popolo” in questo Paese è qualcosa di profondamente diverso da quanto
teorizzato dal filosofo greco, è una involuzione antropologica: da Ferruccio
Parri a Mario Monti, dai maestri del diritto ai “dritti” del rovescio
finanziario.
Siccome il potere dovrebbe
promanare dal popolo verso i governanti, che lo deterrebbero pro tempore in nome e nell’interesse del
popolo; e siccome “Amicus Plato, sed
magis amica veritas”, lascio al lettore il piacere di scoprire la sua
verità sullo stato delle cose. Io una mia idea ce l’avrei, ma è politicamente
scorretta e la tengo per me.