Poltrone,
sedie e strapuntini
C’è
quella economica, pieghevole, da gita di Pasquetta. Quella un po’
più elaborata, magari in kit di montaggio,
dell’Ikea. Ce n’è una da salotto buono degli anni ’60, alta e
dalle gambe sottili, scomodissima, ricordo infantile di tanti nostri
coetanei: quella da visite di circostanza a parenti od amici di
famiglia, quando dovevi “stare composto” e parlare solo a
comando. Strumento di tortura sconosciuto alle generazioni
successive.
C’è
la “comoda”, dotata di ampio foro centrale e sottostante vaso,
adibita dalle classi dominanti del Rinascimento all’uso che oggi
svolge più che egregiamente l’omologa tazza in porcellana.
Poi
la gestatoria, con lunghe e robuste stanghe, la cui conduzione a
spalla era privilegio esclusivo dei rappresentanti maschili
della nobiltà nera romana, durante la passerella in S. Pietro in cui
Sua Santità impartiva l’augusta benedizione al popolo festante.
A
molti piace la chaise-longue di Le Corbusier,
oggetto d’arte oltre che classico moderno.
E
come non ricordare il trono dorato e riccamente istoriato dei
sovrani, simbolo nei secoli del fasto e della potenza delle case
regnanti?
Scompaiono
tutte, per importanza storica e valore simbolico. Perché il politico
italico d’ogni livello è poltrona-dipendente, e se in crisi
d’astinenza anche una modesta sediolina da arredo scolastico
diventa un valido, quantunque provvisorio e risibile, metadone.
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