sabato 28 marzo 2015

Il Galatino anno XLVIII n° 6 del 27 marzo 2015

Taccari da combattimento

L' affare “xylella fastidiosa” imperversa, mentre abbiamo un dittatorello (lui sì, fastidioso) proveniente da una regione – di modesta ma ben pubblicizzata produzione olearia – che ha molto da guadagnare da questa “emergenza” studiata a tavolino. Forse è un caso. Probabilmente lo è. Mi correggo, non si sa mai: sicuramente lo è.
L'olivo è il simbolo di noi salentini ed è pianta cara ad Atena dea della saggezza. Nient'altro che l'abbraccio amorevole di generazioni di contadini ha sfiorato foglie, rami e tronchi dei nostri venerati patriarchi vegetali, sin da quando alla loro ombra Arthas re dei Messapi radunava i suoi saggi.
Un no definitivo deve fermare l'arroganza di mandanti e supini esecutori – tutti noti, tutti immotivatamente sicuri della loro immunità – che stanno per usare violenza sui nostri olivi: ogni gesto di crudeltà contro il patrimonio arboricolo del Salento non resterà impunito. E non indirizziamo l'avvertimento alla più stupida, vigliacca, dannosa classe politica che mai abbia calcato suolo. No, già da tempo si è abbandonata ogni speranza di redenzione per questa categoria il cui comprendonio è inscritto in un perimetro delimitato dai 30 denari posti in cerchio, uno dietro l'altro.
Però non si commette sacrilegio senza temere le conseguenze delle proprie azioni. Dovrebbero saperlo i capi di quei popoli – già colpiti dalla punizione biblica della diaspora – che, dispersi per il mondo, foraggiano una perversa ricerca scientifica indirizzata alla creazione di virus curabili solo col “loro” intervento taumatargico. Non vogliamo che alle eradicazioni segua l'impianto di olivi geneticamente modificati in laboratorio.
L'olivo è sacro: profanarlo è commettere un peccato paragonabile alla bestemmia in Chiesa, al tocco di mano impura sul Libro del Profeta, all'irrisione della Menorah. Comporta una maledizione eterna che ricade sul sacrilego ma anche sulla sua discendenza, pure incolpevole.

Se questo non bastasse, ci piace ricordare che la nostra pianta-simbolo non genera soltanto un nettare prezioso. Il suo legno dà fuoco profumato, dai suoi rami abbiamo imparato, sin da piccoli, a ricavare armi primitive ma efficaci: fionde e nodosi bastoni, la cui carezza sulla schiena lascia ricordi indelebili. 
È bene tenerlo presente.

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