Leggo con interesse gli interventi sulla ricerca di Dio e ne traggo motivi di riflessione, accostandomi con timore agli argomenti religiosi, consapevole delle mie conoscenze limitate. Mi risulta difficile trasmettere compiutamente elaborazioni mentali che evolvono in continuazione con l’età e con l’apprendimento da profano, frammentato e disorganico, e che attengono alla sfera personale dell’esperienza del sacro; la paura è quella di stampare solenni sciocchezze, sorta di intrattenimento leggero anche per un teologo mediocre. Ma ripeto, il mio è l’orizzonte basso di un sapere scolastico e talvolta velleitario.
Potrei definirmi un modesto apprendista, che cerca di avvicinarsi al “divino” oscillando tra quelli che immaginano un motore immobile aristotelico, indifferente alla vicenda umana, e quelli che vedono nei piccoli e grandi miracoli quotidiani la presenza pervasiva della Causa Prima, i segni tangibili della Provvidenza. Tra chi ha il dono della Fede e chi deve toccare con mano per credere.
C’è una diffusa voglia di trascendenza. In molti nasce dal disgusto per gli eccessi della nostra vita forzata al consumo di cose ed esperienze anche estreme. Naturalmente è facile accorgersi che lo spirito chiede risposte che la materia non può dare, ed ecco allora il bisogno del Dio che nutre di un puro cibo ultramondano. Il Dio cristiano, nel nostro caso, che ci affida la libertà suprema di scelta tra il bene e il male. Siamo parte attiva di questo eterno conflitto tra le tenebre e la Luce, ed una scelta sbagliata non è strada a senso unico, non impedisce pentimento e perdono. Deus non deserit si non deseratur, Dio non abbandona se non è abbandonato, afferma S. Agostino.
Divagando, mi piace ricordare la sgangherata banda di gaudenti peccatori di gola di cui il sottoscritto è componente non secondario: un manipolo che al segnale convenuto “Tempo dello spirito”, maschera alle mogli ignare, sotto una parvenza di pia devozione, il saccheggio di bottiglie di spiriti e grappe. Parliamo di innocente goliardia, comunque. Si perdoni questo tragitto improprio, iniziato dalla ricerca di trascendenza ed approdato (letteralmente) alle galatinesi vigne de l’Arciprete.
Commuovono invece alcuni emuli contemporanei di Chiara e Francesco, quando il loro percorso sia sincero e non dettato da strategie di marketing studiate a tavolino. Il volo pindarico dai film di Tinto Brass al cilicio mi lascia in bocca un retrogusto sintetico, in tutta sincerità: ma potrei sbagliarmi.
Nel dubbio, conforta l’esempio di tolleranza del Maestro che accoglie a sé la peccatrice, con un gesto salvifico e purificatore. Quella è la strada, e non certamente l’ergersi a puritani giudici di costumi altrui, dai comodi divani di AnnoZero.
Quindi io prego con fervore e mi affido all’Altissimo, che mi conduca all’Ultima Salute.
Però confesso: sguardo e fantasia indugiano compiaciuti anche sulla curvacea sorella in Cristo, peccatrice redenta, Claudia Koll: perché Agostino ha ragione pure quando implora “Fammi santo, Signore… ma non subito”.
Potrei definirmi un modesto apprendista, che cerca di avvicinarsi al “divino” oscillando tra quelli che immaginano un motore immobile aristotelico, indifferente alla vicenda umana, e quelli che vedono nei piccoli e grandi miracoli quotidiani la presenza pervasiva della Causa Prima, i segni tangibili della Provvidenza. Tra chi ha il dono della Fede e chi deve toccare con mano per credere.
C’è una diffusa voglia di trascendenza. In molti nasce dal disgusto per gli eccessi della nostra vita forzata al consumo di cose ed esperienze anche estreme. Naturalmente è facile accorgersi che lo spirito chiede risposte che la materia non può dare, ed ecco allora il bisogno del Dio che nutre di un puro cibo ultramondano. Il Dio cristiano, nel nostro caso, che ci affida la libertà suprema di scelta tra il bene e il male. Siamo parte attiva di questo eterno conflitto tra le tenebre e la Luce, ed una scelta sbagliata non è strada a senso unico, non impedisce pentimento e perdono. Deus non deserit si non deseratur, Dio non abbandona se non è abbandonato, afferma S. Agostino.
Divagando, mi piace ricordare la sgangherata banda di gaudenti peccatori di gola di cui il sottoscritto è componente non secondario: un manipolo che al segnale convenuto “Tempo dello spirito”, maschera alle mogli ignare, sotto una parvenza di pia devozione, il saccheggio di bottiglie di spiriti e grappe. Parliamo di innocente goliardia, comunque. Si perdoni questo tragitto improprio, iniziato dalla ricerca di trascendenza ed approdato (letteralmente) alle galatinesi vigne de l’Arciprete.
Commuovono invece alcuni emuli contemporanei di Chiara e Francesco, quando il loro percorso sia sincero e non dettato da strategie di marketing studiate a tavolino. Il volo pindarico dai film di Tinto Brass al cilicio mi lascia in bocca un retrogusto sintetico, in tutta sincerità: ma potrei sbagliarmi.
Nel dubbio, conforta l’esempio di tolleranza del Maestro che accoglie a sé la peccatrice, con un gesto salvifico e purificatore. Quella è la strada, e non certamente l’ergersi a puritani giudici di costumi altrui, dai comodi divani di AnnoZero.
Quindi io prego con fervore e mi affido all’Altissimo, che mi conduca all’Ultima Salute.
Però confesso: sguardo e fantasia indugiano compiaciuti anche sulla curvacea sorella in Cristo, peccatrice redenta, Claudia Koll: perché Agostino ha ragione pure quando implora “Fammi santo, Signore… ma non subito”.
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