venerdì 12 febbraio 2010

Il Galatino anno XLIII n° 3 del 12 Febbraio 2010

Nel 1989 una folla festante demoliva a colpi di maglio il muro di Berlino, simbolo del mondo schierato in blocchi contrapposti.
In quei giorni il ritorno della democrazia nell’est europeo aveva oscurato la vittoria della teoria liberista sulle degenerazioni del tardo-marxismo, impersonato dalla nomenklatura del Patto di Varsavia. Di cui l’ultimo esponente, il Conducator rumeno Ceausescu, venne sottoposto a processo sommario e passato per le armi insieme alla moglie, il 25 dicembre di quello stesso 1989.
Finiva un sistema che, nelle intenzioni, doveva emancipare il proletariato; ma che aveva dimostrato l’inefficacia della sua applicazione pratica nei paesi del cosiddetto socialismo reale, trasformando il “paradiso dei lavoratori” in un inferno in terra.
L’estensore di queste righe non ha simpatie comuniste, quindi può chiedersi pacatamente se qualcuno abbia ereditato i soli aspetti positivi e moderni della lezione marxista, specificamente di quelle pagine in cui il filosofo-economista di Treviri svela i meccanismi dello sfruttamento della classe operaia da parte del capitale. Se, vigenti altri sistemi politici, ci sia oggi chi difenda i lavoratori dall’aggressione del liberismo selvaggio.
Sembra retorica fine a sé stessa…se non fosse che, e siamo ai giorni nostri, la disperazione dei cassintegrati e disoccupati costringe alle proteste eclatanti, alle scalate sulle gru e sui tetti in difesa del posto di lavoro. Per pietà umana taciamo di chi sceglie il gesto irreparabile come urlo estremo di rabbia e di impotenza, ma ricordiamo dolorosamente la vittima dell’ingiustizia sociale.
Il capitale è oggi un’entità sovranazionale astratta e inafferrabile, un Golem sfuggito di mano ai suoi stessi addetti. Nell’economia globalizzata, può creare ed abbattere governi; ha sue regole inderogabili e crudeli; persegue, dove più convenga, il suo obiettivo primario che è il massimo profitto da ottenere nel minore periodo possibile.
In questa logica perversa, appare evidente che il futuro di migliaia di lavoratori, delle loro famiglie, diventi questione secondaria, e la prospettiva della povertà per i molti colpiti dalla crisi possa essere un “effetto collaterale” tutto sommato accettabile: il rischio è “solo” quello di scaricare sulla collettività i costi sociali della globalizzazione. Attualmente è questo il sistema che prometteva lavoro e benessere per tutti: qualche economista avveduto ne prevede il declino imminente, come già per il comunismo.
Si attende un ibrido tra economia pianificata dallo Stato e capitalismo, che al momento è utopia.
In passato, qualcuno aveva provato a conciliare, tutelandoli entrambi con pari dignità, i diritti del lavoratore e del capitale d’impresa. “In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente – attraverso una conoscenza diretta della gestione – all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori”.
È l’art. 12 della legge sulla socializzazione delle imprese di una Repubblica che volle dirsi Sociale Italiana. Piccola parentesi luminosa, ignorata dalla storiografia ufficiale, di quella tragedia. E per favore non si parli di apologia...

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