venerdì 10 settembre 2010

Le parole inutili - 10 Settembre 2010

Gentile Professore,

Si può avvertire l’inutilità di scrivere, quando si capisce che il proprio dire non modifica le cose neppure minimamente (se mai ci si fosse illusi di questo). Che poco o nulla rimane di concreto, al di là di un vacuo, effimero e molto provinciale quarto d’ora di celebrità mediatica ottenuta con saltuarie riflessioni internettiane, declinate a volte in maniera umoristica, a volte seria. Si può lasciar intendere di aver esaurito citazioni e motti celebri latini, assimilati e resi patrimonio personale negli anni degli studi giovanili, e di non aver più inchiostro da stendere.

Si possono persino affrontare con animo umile questioni tanto al di là della nostra modesta capacità di comprensione (signoraggio bancario, nuovo ordine mondiale, segreti di Stato sul Risorgimento ancora a 150 anni di distanza) da apparire per quello che realmente sono, argomenti tabù per tutti i mezzi di informazione, doverosamente preclusi all’opinione pubblica perché potenzialmente pericolosi, quindi riservati ad una ristretta cerchia di eletti che negano e minimizzano.

Succede poi di sentirsi bloccati da questa strana malinconia autunnale, stagione meteorologica ma anche della vita. Forse dovrei lasciar perdere per qualche tempo il Leopardi de “L’infinito” e rileggermi l’adrenalinico Henry Miller di “Tropico del cancro”.

Cordialmente,

Pasquino Galatino

venerdì 16 luglio 2010

Il Galatino anno XLIII n° 13 del 16 Luglio 2010

Baruffe chiozzotte di inizio estate


Apre l’estate galatinese, come da tradizione, la Festa dei nostri Santi Patroni. Quest’anno la solennità della Processione è stata alleggerita, per così dire, dal gustoso siparietto profano offerto a devoti e turisti da un’esponente politica molto attenta alle gerarchie: tanto da pretenderne il rispetto persino nelle file del corteo. Ricordiamo un episodio minimo di vita cittadina non perché piaccia applicare intelligenza in maniera impropria, inzuppando ancora un biscottino già abbondantemente sbocconcellato da noi e da altri; nossignori, qui siamo chiamati all’arduo compito di trovare una ratio, un nesso logico che unisca la sfiducia ad un Sindaco firmata in carzonette ed il diverbio sguaiato per questioni di precedenze al seguito del busto argenteo di S. Pietro.

E questo fil rouge è lo svergognamento istituzionale: si sarebbe potuto e dovuto usare una colorita dizione più consona alla materia di cui trattasi, ma per disciplina naturale e per scelta di anticonformismo il nostro vocabolario non contempla espressioni meno che dignitose. Ci piace ancora impugnare il fioretto là dove altri combattono con armi chimiche.

Però sovviene il ricordo struggente degli Uomini che hanno rappresentato la nostra Città: si chiamavano Bardoscia, Caggia, De Maria, Fedele, Finizzi. Non occorre aggiungere altro ad un confronto impietosissimo. La constatazione evidente è che Galatina gode ancora, nonostante tutto, di menti raffinate ed aperte che purtroppo si tengono ben lungi dalla politica. Le pochissime intelligenze che cercano uno spiraglio per emergere restano soffocate dalla imperante mediocrità.

La festa è finita, “restano sparsi, disordinatamente, i vuoti a perdere mentali abbandonati dalla gente.” (Edoardo Bennato, Feste di piazza).

Buona estate a tutti.


lunedì 5 luglio 2010

Antiqvvs Ordo "Capvt Mentvlae" - 5 Luglio 2010

Gentilissimo Professore,
l’eco delle nobili gesta di alcuni amministratori ha valicato i confini regionali. I pacati, eleganti atti di contrizione al corteo dei SS Patroni, da parte della Madre Superiora delle Umili Devote Consorelle - Ancelle della Vorace Spartizione, hanno aggiunto lustro e dignità al ceto politico galatinese.
Mi scrive infatti da Roma il Gran Maestro dell’Antico Ordine Cavalleresco “Caput Mentulae”, proponendo l’attribuzione del titolo di Cavaliere di Gran Testa al politico cittadino (uomo o donna) che a nostro insindacabile giudizio si sia reso degno di tanta onorificenza. Da qui alle feste natalizie, col Suo permesso, dalle pagine di Galatina.it voteremo il candidato prescelto: il più suffragato sarà protagonista della solenne cerimonia di investitura che si terrà a fine anno, alla presenza delle Autorità. Abbigliato in alta uniforme, il Gran Maestro in persona consegnerà:
a) un diploma in pergamena dorata recante la seguente dicitura: “Nos, Dei gratia et volvntate equitvm, Magister Maximvs antiqvi ordinis "CAPVT MENTVLAE", nostra sponte honorem hoc tribvimvs nobili viro (mvlieri) nome del prescelto o prescelta . Datvm Galatinae, die XXXI Decembris a.D. MMX”, e
b) la placca da indossare nelle cerimonie ufficiali sull’abito, costituita da scudo bordato d’oro, quadripartito in bianco e nero, recante al centro il simbolo dell’Ordine (una punta violacea tronco-conica).
Notoriamente digiuno di lingua latina, mi limito a trasmetterLe quanto comunicatomi dal Gran Maestro.
A noi Galatinesi il compito di scegliere democraticamente il destinatario della prestigiosa onorificenza.
Gradisca saluti cordiali,
Pasquino Galatino









mercoledì 30 giugno 2010

Inedito dantesco - 30 Giugno 2010

La scorsa notte mi è apparso in sogno Dante Alighieri. Avrei preferito, in tutta sincerità, altra e più appetibile epifania onirica.... magari Manuela Arcuri, oppure Laetitia Casta, mi sarei anche accontentato del Ministro Carfagna (merita, merita....), ma tant'è. Il Sommo Poeta ha voluto rendermi (indegno) latore d'un canto infernale inedito, che ho provveduto a trascrivere appena sveglio come fissato nella memoria vigile del mattino. Lascio ad appassionati dantisti il compito di decifrare i versi del Divino: infatti "il senso lor m'è duro". E chi sono io per provare ad interpretare Dante?


In loco ameno, nomato Salento,
col duca mio serenamente gìa,
quando le strida, il compianto, il lamento
ci mossero al mezzo de la via:

giunti eravamo in nobile cittade
però caduta in lenta agonia.
Furono ricche un tempo sue contrade;
li antichi Greci la disser Galatina.

Di quell’urbe e de le sue strade
nulla apparisce mò, se non ruina.
Di quel ch’ivi vedemmo, e distruzioni,
e ruberie e mala dottrina,

qui scriveremo sanza allusioni.
O Nicola, o Piero, che poeti
preclari siete per molte canzoni,
sostenete i vostri esegeti

con l’essemplo di vostre rime sparse.
Disveleremo li mali segreti
de la genìa di laide comparse
che fè strame de l’urbe di San Pietro.

Tosto che fummo ivi, lesta comparse
dinanzi a me, ed al mio duca dietro,
una che non pareaci pulzella
sì che ‘l maestro disse “Vade retro!”.

Tutto sembiava tranne quieta e bella.
“I’ son colei che volle Ruggero
di suo partito far locale ancella.
Furba scalzai un uom pulito e vero;

faccio le veci del primo cittadino”.
Questa ci mosse a disgusto sincero
con sue verba. Poscia a capo chino
riprendemmo mesti nostro andare.

“Appo quel loco che Raimondello Orsino
Prence del Balzo eresse ad altare
fan commercio d’i posti di comando”.
Verso noi diè inizio a parlare

femminea voce severa, e di rimando
rogammo lei: “Chi se’, alma gentile,
che tanto aperta vai argomentando?”.
“Quella son io che il dieciotto di aprile

ne l’aspra pugna non ebbe vittoria:
fui terza. Ed ora nel civile
urbano consiglio trovo mia gloria
nunciandovi vergogne e ruberie;

Daniela sono, e resti a la storia
di Galatina, che mai in bracerie,
com’altra fa, presterò mio intelletto.”
Indi si tacque. E nostre bramosie

di canoscer, con sommo dispetto,
altri nomi, altri guai, altra sventura
de la cittade che fu cuna e tetto
a uomini di scienza e di cultura,

fur satisfatte da scriba valente.
Fu elli, ed è, capitano di ventura
d’un essercito d’un solo combattente.
Pugna l’uomo in guisa singolare:

ogne nova diffonde prestamente,
che nulla resti ignoto, a disvelare
le violenze de la politica antica
poi che novella vuolsi appellare.

Ei ci menò ne la cittade amica
per quella porta ch’onora San Biagio.
Appena fummo ivi, come formica
che indugia alquanto, procedendo adagio,

nostri olfatti fur colti da ‘l fetore,
l’etterno lezzo, che sommo disagio
reca a le genti ch’ivi han dimore.
E noi a lui: “Favella, Raimondo,

chi colpa, chi crea tale orrore,
chi a questa civitate così immondo
genera danno?” Ei per chiare parole:
“In queste calli, non v’el nascondo,

per vizio antico, mala gente suole
di pattume, scarti et altra fetenzia
farne cumulo. E poscia si vuole
che resti ripulita ogne via

come che sia in oppido onesto.
Ma andiamo oltre”. E quale sia
duce che guidi schiera, pur questo
gran condottiero ambo ci mena

per uno stretto calle che dissesto
fu sempiterno, fando triste scena,
d’incuria e di nequizia. E, come dico,
poi a la “Chiazza” ove s’incatena

Chiesa Matrice a quel borgo antico
che porta nostri passi al bel palazzo
là ‘ve nuovo governo impudico
a’ congiunti, a’ vassalli diè sollazzo.

Non fu primo né ultimo a tal fatta:
che pria che questo, di simile andazzo
menava vanto compagine disfatta,
e pria di questa ancor d’altre disgrazie

patì nostra cittade. A rima esatta
chiudo il mio dire, anco per dir “grazie”
al paziente lettore di tal verso.
E quinci fien le nostre ricchie sazie.

sabato 19 giugno 2010

Nihil novi sub sole - 19 Giugno 2010

Nihil novi sub sole



Nulla di nuovo sotto il sole. Abbiamo sbagliato: spiace ammettere l’errore, non tanto per la fiducia preventiva accordata alle persone, ma per l’amara constatazione che si continua a sperare ed illudersi, pur alla nostra veneranda età. Il carico di anni, e l’esperienza di cose ed uomini, invece avrebbe dovuto consigliarci maggiore prudenza. Dovevamo dar retta ai “grilli parlanti” che suggerivano diffidenza e che ora rimarcano il concetto: ”Te l’avevo detto, che finiva così!”. Avremmo forse dovuto unirci agli scettici che, facili profeti, immaginavano quello che sarebbe avvenuto. Vero Professore?

Poco importa adesso chiedersi se siano questi uomini e queste donne la causa, o non invece un sistema di regole che, mutatis mutandis, porta inevitabilmente le stesse conseguenze negative anche con persone diverse.

Magra consolazione, prendere atto che riusciamo ancora ad indignarci per quello che vediamo; ed arrossire di noi stessi e della nostra ingenuità, sintomi di una sensibilità fuori corso, dati i tempi. Delicatezze caratteriali che ora ci appaiono lussi insostenibili.

Esattamente come quella tassa RSU che diligentemente abbiamo pagato nei termini, e che è contrappunto ironico alle montagne di spazzatura indifferenziata che ingigantiscono per strada, oppure (volendo insistere sulla vexata quaestio) ai modi e metodi di designazione dei consiglieri CSA.

Siamo talmente nauseati dal “peggio” che avanza nell’indifferenza quasi generale, da non riuscire neanche più a sgranare la mesta litania dei problemi che c’erano due anni fa e ci sono tutti, irrisolti. Perché ci accorgiamo di propinare ciclicamente questa fastidiosa katamenia senza che nulla cambi.

Professore, Lei aveva ragione. Almeno questo, onestamente, riconosco di doverLe.

Con maggiore stima,

Pasquino Galatino

venerdì 18 giugno 2010

Anagrammi - 16 Giugno 2010

Anagrammi



Smontino ente celebrata!

Cambierete nonne stolte?

Sono mentite, celebrante!

Lotte, non ne scambierete…

Te celebrata, non me stoni!

Insonne, al brace metto te…

In barca lo mettete, senno!

Te insonne, cala tre tombe…



Indovinino i nostri affezionati Lettori su che cosa stiamo giocando.



Pasquino Galatino

venerdì 11 giugno 2010

Il Galatino Anno XLIII n° 11 dell 11 Giugno 2010

Inedito di Gogol’

Entusiasmo nel mondo accademico: rinvenuto casualmente durante lavori di manutenzione nella biblioteca di S. Pietroburgo un manoscritto autografo di Nikolaj Vasil'evič Gogol', il grande autore di origine ucraina, maestro del paradossale.
“L’eredità della contessa Alexandra Antonova”, questo il titolo del racconto, purtroppo non completo. Un articolo documentato della “Literaturnaja Gazeta” ci anticipa trama ed interpreti prima della pubblicazione definitiva: si tratta del classico intreccio psicologico, ai confini dell’assurdo, tanto ben indagato dallo scrittore vissuto anche a Roma per qualche anno. Il breve romanzo è ambientato in uno studio di Mosca, dove alcuni eredi attendono che il notaio dia lettura del testamento di una nobile.
Mirabile è la descrizione dei caratteri, che siamo spinti ad apprezzare nelle loro virtù e debolezze pagina per pagina, ed in cui capita anche di riconoscersi: ad esempio quello del principe Dinija Valenskji, giornalista esperto di percezioni extrasensoriali, ed amico devoto e confidente della defunta. Il quale racconta commosso ai convenuti come la contessa gli appaia in sogno, rilasciando dichiarazioni sibilline, variamente interpretate dai presenti in chiave esoterica.
O la tronfia vanagloria di Sergej Blas’evič, capitano degli ussari di Nikita II Vendolskji; ed ancora la memore riconoscenza alla nobile scomparsa da parte di Luis Serg’evič Martignanskji, oscuro amministratore dei beni della Antonova, da questa munificamente ricompensato.
In tutti traspare la ben nota “nostalgjia” per i bei tempi andati ed il disprezzo per le nuove classi sociali reazionarie ed incolte che si affacciano al mondo, evento politico che è prodromo di una rivoluzione ancora lontana ma presente in nuce nella coscienza collettiva dell’epoca.
Il racconto, come detto, è incompleto; non conosceremo mai le reazioni degli eredi alla lettura del testamento, quando un notaio dal volto imperturbabile comunica il passivo dell’eredità: un milione duecentomila rubli, per tasse non pagate. Qui s’interrompe infatti la breve novella gogoliana.