Constatiamo che le norme sul governo locale hanno fallito proprio nel compito per il quale erano state emanate, cioè dare stabilità alle amministrazioni cittadine. E' evidente a tutti che durata ed efficacia di una giunta comunale dipendano troppo spesso dai capricci di un singolo eletto, dagli interessi suoi personali o della sua parte politica, persino dalla vanità esibizionistica di apparire sui giornali. A Galatina ne abbiamo memoria recente.
Al momento, non si ha modo di evitare questo rischio: il consigliere votato perchè alfiere di un programma convincente, che sia di maggioranza o di opposizione, domani potrebbe trovare utile cambiare idea ed atteggiamento, senza sentire il dovere di chiedere scusa e dimettersi. E' quasi naturale che sia così, essendo in lista non perchè scelto da noi ma da una segreteria partitica, in quota a qualche politico più in alto di lui nella corrente, mediante il sistema della cooptazione. L'eletto risponderà al referente, poi al suo gruppo: il cittadino che abbia avuto fiducia in lui verrà per ultimo.
In queste strutture piramidali che sono i partiti tradizionali, vediamo una pallida imitazione di democrazia partecipata, una cosa che sembra ma non è.
Rimedio o male peggiore, le liste civiche: in genere, manifestazioni di volontà di vecchi arnesi della politica, esclusi dal giro ed in cerca di riscatto, circondati da volenterosi idealisti o talvolta molto furbi. Ammettiamo onestamente che questo andazzo non sia regola fissa; l'eccezione virtuosa consistendo in qualcuno che si ribelli al sistema dei partiti e difenda istanze specifiche più vicine al territorio ed alla gente.
Comunque sia, si pone il problema della scelta degli uomini e delle donne che intendano candidarsi. Non potendosi fare a priori dal basso, la si faccia in campagna elettorale.
Concludiamo: mai come in questi giorni che ci separano dal voto, è necessario radiografare i candidati, le loro proposte (corredate del quod et quomodo), il loro eventuale pregresso cursus politico, la coerenza dimostrata nella loro attività. Il nostro dialetto non potrebbe essere più puntuale, bollando gli ondivaghi come "chi allatta da cento mamme": non è ora di mandarli a casa per sempre?
I più coraggiosi potrebbero mostrare pubblicamente di non avere o aver avuto pendenze con la giustizia, e magari ostentare un'analisi tossicologica del capello. L'unica che dimostri inequivocabilmente che chi si candida ad amministrare la cosa pubblica, non ha necessità di aiuti chimici quotidiani per svolgere una qualsiasi attività intellettuale... Prevedibili epidemie di alopecia e calvizie, ma forse siamo troppo cinici.
Più fattibile, invece, la richiesta di un pronunciamento pubblico: non un giuramento, ma almeno una parola d'onore sulla fedeltà al mandato ricevuto.
Per qualcuno vale ancora oggi più di una firma.
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