“La Libertà ci invita alla sua tavola, dove ci è permesso di gustare i suoi cibi saporosi ed i suoi vini deliziosi; ma quando sediamo alla sua mensa, mangiamo voracemente, fino a gonfiarci ed appesantirci.” (Khalil Gibran, La Voce del Maestro)
Le parole dello scrittore libanese scomparso nel 1931 hanno il sapore della profezia. È difficile descrivere più precisamente, e con la stessa concisione poetica, lo stato di ebbrezza di un popolo cui la libertà sia servita in porzioni tanto abbondanti da indurre sazietà e disgusto. C’è un limite oltre il quale vi è solo libertinaggio: degenerazione moderna, specificamente italiana, della libertà.
Il confine ideale lo abbiamo alle spalle. Quello che sia capace di leggere globalmente i fatti al di là della loro evidenza ed unirli in una visione d’insieme, assiste con impotente sgomento al caos progressivo e inarrestabile, allo spregio delle regole della convivenza civile.
Ho domande a cui non so rispondere. Potrebbe essere l’indole mediterranea, più ancora italica, che spinga a privilegiare il proprio diritto anche in danno del prossimo, ad interpretare la libertà come licenza e prevaricazione.
So per certo che “dovere” è concetto desueto a queste latitudini, e “ordine” parola astratta, soggetta ad abominio, indicante non disciplina interiore e spontanea, ma pericoloso autoritarismo. Tutto ci è dovuto, per acquisito ed inalienabile diritto, anche calpestare quello altrui. Osservo che l’Italiano sedicente “libero” è invece servo dei suoi stessi difetti atavici, la furbizia avendo confuso con l’intelligenza; e preferisce la scorciatoia alla via dritta e giusta. Vogliamo tutti precedenza, e siamo tutti fermi nell’ingorgo.
Non so neanche se questo popolo sia il bambino viziato bisognoso di guida forte, ma comincio a pensarlo e mi preoccupo. Il giocattolo-libertà che ha avuto in dono è complicato da usare, e forse il piccolo se ne è stufato.
Non questo, ma un altro “Papi” più rozzo e autoritario, magari travestito da ex-magistrato; oppure un esotico immigrato di stretta osservanza islamica, potrebbe decidere di porre sotto tutela il pargoletto pestifero. Tocchiamo ferro (per non dire altro).
Le parole dello scrittore libanese scomparso nel 1931 hanno il sapore della profezia. È difficile descrivere più precisamente, e con la stessa concisione poetica, lo stato di ebbrezza di un popolo cui la libertà sia servita in porzioni tanto abbondanti da indurre sazietà e disgusto. C’è un limite oltre il quale vi è solo libertinaggio: degenerazione moderna, specificamente italiana, della libertà.
Il confine ideale lo abbiamo alle spalle. Quello che sia capace di leggere globalmente i fatti al di là della loro evidenza ed unirli in una visione d’insieme, assiste con impotente sgomento al caos progressivo e inarrestabile, allo spregio delle regole della convivenza civile.
Ho domande a cui non so rispondere. Potrebbe essere l’indole mediterranea, più ancora italica, che spinga a privilegiare il proprio diritto anche in danno del prossimo, ad interpretare la libertà come licenza e prevaricazione.
So per certo che “dovere” è concetto desueto a queste latitudini, e “ordine” parola astratta, soggetta ad abominio, indicante non disciplina interiore e spontanea, ma pericoloso autoritarismo. Tutto ci è dovuto, per acquisito ed inalienabile diritto, anche calpestare quello altrui. Osservo che l’Italiano sedicente “libero” è invece servo dei suoi stessi difetti atavici, la furbizia avendo confuso con l’intelligenza; e preferisce la scorciatoia alla via dritta e giusta. Vogliamo tutti precedenza, e siamo tutti fermi nell’ingorgo.
Non so neanche se questo popolo sia il bambino viziato bisognoso di guida forte, ma comincio a pensarlo e mi preoccupo. Il giocattolo-libertà che ha avuto in dono è complicato da usare, e forse il piccolo se ne è stufato.
Non questo, ma un altro “Papi” più rozzo e autoritario, magari travestito da ex-magistrato; oppure un esotico immigrato di stretta osservanza islamica, potrebbe decidere di porre sotto tutela il pargoletto pestifero. Tocchiamo ferro (per non dire altro).
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