Il giorno che Rocco ritrovò la parola
Na brutta matina, tuttu de paru,
Roccu, maestro muratore sui cinquanta, perse la palora.
Mesciu Roccu non aveva mai dato
prima segni di disagio, ed in realtà non ne dava anche durante la malatìa.
Tranne, certu, questa sua incapacità di comunicare col prossimo, alla fatìa e
intru ‘ccasa. Mujerasa la Inge, svizzera di S. Gallo, esperta ricamatrice di
pizzo, sulle prime ìa pensatu a nu scherzu: Roccu era noto in famiglia e tra
l’amici comu nu bontempone, unu ca li piacìa cujona. Ma l’abituale loquacità
s’era trasformata in controllata mimica facciale, in una gestualità
mediterranea di volto e mani. All’inizio Inge gli aveva chiesto, nel suo salentino-elvetico
dai toni gutturali: “Ce kappasti, Rokku? Was passt? Sag’ mir!”. Non ricevendo
risposta, s’era ‘mpaurata, ìa chiamatu il medico di famiglia, l’amico e
compagno di scuola di Rocco, il dottor Pompeo specialista neurologo. Esami,
controlli: nulla. “Inge, lu Roccu ste bonu. La TACca e li raggi non mi danno risultati
strani, nun ave ombra de sofferenza cerebrale o ìctussu, maisiaSignore. Secondu
mie, è ‘na crisi momentanea. Ma, con te… tuttapposto?”. La donna confermava,
Rocco manteneva robusti appetiti, a tavola ed in camera da letto, esauditi da
lei con precisione teutonica.
Anche ‘Ntoni Canemorto fu Tore,
amico da sempre, barbiere per professione familiare con salone in Vico della
Gatta, dietro Santo Pantaleo, saputa la notizia, passàu lu vìscia. Un largo
sorriso illuminò il volto impassibile di Rocco. Per un attimo pensarono che tornasse
a parlare: ‘Ntoni gli rammentava ridendo de li viecchi tiempi ’lla Squizzera,
giovani operai emigrati, quandu ogni domenica partìanu con la 127 rossa per il consueto
Last Mignot Tour. Li canuscìanu in tutte le case chiuse de li cantoni tedeschi,
da S. Gallo a Basilea, passando per Lucerna, per la loro generosità e
galanteria con le signore.
Ma niente, Roccu stia cittu, in assorta
contemplazione di qualche suo pensiero recondito, imperscrutabile ai presenti.
Familiari ed amici s’ìanu ormai ‘bbituati alla sua nuova condizione fisica. Del
resto, nun era cangiatu nienzi: Roccu al lavoro era sempre il maestro,
sistemava con consumata perizia la pietra angolare usando la squatra de
‘lluminiu, e lassava alli vagnuni il compito faticoso di ‘ssettare i cuccetti.
In casa, putìmu dire senz’ombra di dubbio che questo suo cupo silenzio era
virtù assai apprezzata dalla moglie e dalle due figlie.
Poi, d’improvviso, una sera
all’ora di cena, il tg in edizione straordinaria interruppe la sfilata di veline
e strisce: un piccolo aereo da turismo imbottito di esplosivo s’era abbattuto
in picchiata sul parlamento riunito a camere congiunte, distruggendo
completamente l’edificio. Tutti i mille e passa “onorevoli” erano morti sotto
le macerie.
Un collettivo urlo di gioia
sovrumano, una risata omerica aveva percorso lo stivale da Bressanone a
Pantelleria, come dopo la vittoria ai Mondiali di calcio. E puru Roccu, maestro
muratore salentino, socialista pentito, alzatosi in piedi, brindò cu nu menzu
quintu de necramaru: “Diu è crande!”: solo questa esclamazione interruppe la
perdurante afasìa.
Poi, se ssettàu ‘ntorna e nu
disse cchiùi nuddha.