La
cartolina rosa (pallido)
Non so cosa mi rimanga,
a distanza di tanti anni, dell’esperienza del servizio militare. Forse solo le
memorie esilaranti di un anno perso aspettando il ritorno alla vita civile, i
tentativi ingegnosi di scansare inutili incombenze e comandi di logica imperscrutabile,
impartiti da personaggi degni della filmografia di Pierino.
Ho impresso nella
memoria quel tale maresciallo, così immedesimato nel proprio ruolo, da
rivestirsi – letteralmente – d’autorità indossando la notte un pigiama “da
combattimento”, con i gradi e le decorazioni sul petto.
Ricordo bene il
commilitone imbranato che lanciava la granata da esercitazione – poco più di un
raudo – tra i suoi stessi piedi: il pietoso
referto dell’ufficiale medico parlava di “Ustioni di primo grado ed
escoriazioni agli arti inferiori, prognosi gg 15 s.c.”; questo stesso commilitone che, ignorando il
concetto di destra e sinistra, aveva scritto all’interno della sua “bustina”
(il cappello da aviere) “fianco dest” e “fianco sinist” sui lati relativi; gli
scherzi atroci da parte dei “nonni”, i gavettoni dati e ricevuti, riempiti da
un liquido che spesso poteva non essere solo acqua pulita…
Ricordo con disgusto la
corvée nelle cucine, l’utilizzo degli
avanzi per confezionare improbabili polpette “buone per la truppa”. Il rancio
immondo del corso di addestramento reclute, che ingoiavo senza assaporare e
masticare, solo per riempire lo stomaco, servito in vassoi d’acciaio che
recavano visibilmente la testimonianza dei ranci precedenti. Il sapore di
bromuro nel latte del mattino, calmante somministrato per meglio controllare
gli ardori giovanili (poi sfogati da alcuni grazie a compiacenti e prezzolate “signore”).
Su un vecchio ordine
del giorno ciclostilato, che conservo gelosamente, rileggo con un sorriso di
intimo compiacimento la motivazione alla mia prima ed unica punizione per una
“fuga”: “L’aviere P.G. si assentava arbitrariamente dalla base creando
disservizio, punito con gg 7 di consegna”. E, immediatamente sotto, quella
riservata ad un amico congedante: “L’aviere scelto L.M., a letto dopo la
sveglia, forniva false generalità all’ufficiale di giornata; recidivo, punito
con gg 3 di c.p.r.” (cella di rigore, n.d.a.). Involontaria comicità del gergo
militaresco.
Perché rammento a me stesso,
e racconto a Te Lettore, questi fatterelli remoti? Perché qualcuno propone la
reintroduzione del servizio di leva obbligatorio, adducendo la risibile
motivazione che sarebbe un modo per restituire ai giovani una sorta di
noviziato laico, “svezzamento” per le ultime generazioni che giudicano (a torto)
rammollite dalla bambagia familiare; quindi non avvezze a mordere la vita e
farsi strada a gomitate, come si pretende in una società competitiva.
Allora sgombriamo il
campo dagli equivoci: se la ragione è questa, forgiare soldatini valorosi per
la quotidiana guerra per il pane, siete fuori strada, egregi signori che volete
la “naja”.
Gli esempi italici vi
contraddicono e dimostrano che per arrivare in alto, e presiedere il consiglio
d’amministrazione di una banca, il ministero delle riforme o una riunione di
governo, non è necessaria la gavetta, un duro tirocinio, lavoro a testa china,
selezione in base al merito: no, basta essere “figlio di”.
Di chi, lo lascio all’intelligenza
del Lettore.