Cronache minime di Natale
“Usciamo”, un ordine che non ammette repliche, strappa il
nostro dal sopore pomeridiano del giorno di festa. Avrebbe preferito
crogiolarsi nell’abiezione: l’ascolto in cuffia delleVariazioni Goldberg dalla tastiera di Glenn Gould, le
pagine di Zitara sull’economia meridionale preunitaria, due dita di primitivo
di Manduria e la pipa fumante di Black
Luxury. Il copione natalizio invece prevede la visita ai presepi (simulare
entusiasmo).
Parcheggio in villetta,
poi a passeggio per vetrine e, secondo vecchia usanza, il caffè al solito bar,
schiaffo ai neuroni avvelenati dalla dose letale di trigliceridi ingurgitati
poche ore prima. In piazza il vento freddo agita l’albero palluto oggetto di
giudizi contrapposti, e risveglia dalla foschia alcoolica il nostro, che ora
distingue persino amici e sconosciuti turisti, gli uni e gli altri prima
salutati con identico trasporto. “Accoglienti, questi salentini!”.
La coppia segue il flusso della folla presepiante; nella calca il
nostro non può evitare un pargolo, spiritato da artetica infantile, che in piena corsa va a
collidere con la cristalleria di casa. Per rispetto alla sacralità del luogo
(il portone dei Battenti sempre chiuso, e sempre deturpato da sacchetti dell’umido
deposti proditoriamente dal genio del pattume di piazzetta Galluccio), il
malcapitato soffoca in gola un urlo di dolore giurassico e poco religiose
interiezioni, che trapelano comunque, tradite da impercettibili movimenti
labiali.
La mamma del precoce centometrista, appena tornata nel
Salento con la famiglia per le vacanze, richiama il discolo con la tipica
cadenza brianzola di Cutrofiano sul Lambro: “Thòmassa, ancora cadi e ti
rompi i musetti!”. Il nostro si frena (è Natale!) dall’impartire
alla giovane un’esemplare lectio pedagogica sull’uso, antico eppure
moderno, del ceffone educativo mollato con balistica sapienza, e viene sospinto
alla Basilica.
È il clou della passeggiata natalizia,
l’incontro con quella che molti giudicano la summa dell’arte presepiale cittadina.
L’estasi che prende - adulti e bambini tutti - al cospetto della Natività
rappresentata mirabilmente, è avvilita dai commenti di fedeli poco inclini alla pietas. Il cinico vernacolo
galatinese corrode anche i momenti sublimi: “Cce bbrutta ddhra grotta de
Bettlemme!”. Si torna con i piedi per terra, in senso figurato e
letterale, muovendo fuori dal Tempio con la circospezione richiesta dallo
sconnesso basolato del centro antico. Anche questo è Natale.