Ritratto in bianco e nero
C’è stato un tempo in cui la nostra Fiera era la vetrina di una società in salute. Lo spazio angusto della villa S. Francesco, gli stand adattati dalle aule delle scuole elementari, ospitavano imprenditori ed Enti da tutte le regioni e dall’estero, come consentito allora ad un’esposizione di livello nazionale. La sede era improvvisata ma si coglieva un’atmosfera di speranza e voglia di fare. Anni di progressivo benessere nel Sud, per la prima volta dalla cosiddetta Unità: era in atto, con la breve ed illusoria stagione del boom, una rapida evoluzione dell’economia meridionale. L’artigiano si trasformava in piccola azienda, coinvolgendo le generazioni più giovani ed acculturate; il capomastro trovava un suo mercato inventando per sé e per i figli l’impresa edile. Altri esploravano coraggiosamente il mondo delle tecnologie innovative; comunque tutti rimodulavano in strutture complesse e più professionali le proprie attività, pure agevolati dal basso costo della manodopera. Ancora pochi anni fa un imprenditore galatinese scomparso di recente riusciva, come tanti altri, ad esportare in Nord Africa, Grecia, Medio Oriente, Nord Europa; ormai vecchio, raccontava con orgoglio l’avventura della sua vita lavorativa, iniziata nel dopoguerra da pilota smobilitato della Regia Aeronautica, e proseguita come tenace, intuitivo scopritore di percorsi nuovi nell’impresa, presa a modello in tutta Italia. Nella loro espansione, queste nostre aziende erano affiancate dagli istituti di credito locali, nei quali spesso una stretta di mano tra uomini di parola poteva affidare meglio e prima di un bilancio certificato. Sia chiaro, le banche col nome dei fondatori non erano pie congregazioni di carità, ma crescevano in parallelo alla società da cui traevano, ed a cui fornivano, nutrimento: in loco reperivano il risparmio dei privati, remunerandolo adeguatamente, e lo impiegavano immettendolo in loco. Quella stagione felice è durata pochissimo.
Incidentalmente, l’inaugurazione della nuova sede del polo fieristico galatinese ha coinciso con l’inizio del declino economico non solo cittadino, ma di tutto il Salento e del Meridione: fine dell’illusione di un progresso esponenziale. Se dovessimo fotografare con una frase ad effetto lo stato attuale delle cose, potremmo parlare di una parte d’Italia con un grande futuro alle spalle. Il perché di questa situazione ha anche, ma non solo, esempi storici lontani (diciamo 150 anni?), che in questa sede non vale spiegare: ma verrà il tempo in cui si potranno raccontare senza paura gli avvenimenti risorgimentali come accaduti veramente, quindi depurati dalle menzogne contenute nei libri di storia approvati dal Ministero dell’Istruzione. Prevediamo smottamenti istituzionali, quando un giorno l’opinione pubblica meridionale prenderà coscienza del suo passato florido, stroncato con la malaUnità, e delle cause del suo attuale malessere. Ma abbiamo anche motivi più recenti, quasi cronaca di ieri, alla base del declino. Una intera burocrazia politico-economico-finanziaria lavora da anni a pieno regime per trasferire ricchezza da Sud a Nord, replicando con la logica di rapina una spoliazione sistematica di risorse finanziarie e umane che ricorda la violenza dei Savoia “liberatori”. Banche, assicurazioni, società di servizi ed industria sono finite tutte in mani settentrionali; le circostanze che hanno permesso quanto avvenuto a danno del Meridione, potrebbero fornire spunti per film di gangsterismo. L’economia meridionale oggi è pura sussistenza, “pizza e mandolino”; il Sud è colonia, mercato interno per merci e servizi prodotti al Nord, suolo per impianti eolici, fotovoltaici e discariche. Proprio come impose nel 1861 Carlo Bombrini, primo governatore della Banca Nazionale: “Non dovranno più essere in grado di intraprendere”. Purtroppo il Meridione è un malato di Alzheimer che non ricorda il suo passato prossimo ricco di speranze disattese, e dello splendore remoto non resta che una vaga malinconia. Il sangue fresco, la meglio gioventù sudista è costretta ad emigrare per trovare fortuna: oggi come 50 e, soprattutto, 150 anni fa, se pure con prospettive ed armi culturali ben differenti.
Perciò diciamo con chiarezza che la madre di tutte le battaglie meridionaliste è la riappropriazione dei nostri mezzi finanziari, proteina indispensabile per la crescita: l’esatto contrario di quanto si intende fare. Affermiamo proprio questo, che il risparmio del Sud deve essere gestito dalla Gente del Sud in favore delle esigenze del Sud. Qui devono esserci, autonomi ed autoctoni, banche, assicurazioni, terziario, ricerca finalizzata; qui compagnie telefoniche e media specifici, qui trasporti e servizi efficienti, qui gestione delle risorse naturali (agricoltura, acqua, energia, paesaggio); il tutto con capitale ed amministratori locali. Il Meridione dovrà interagire alla pari con i mercati dei Paesi emergenti (o già affermati, per meglio dire), senza protettorati di alcun genere e con propri rappresentanti, perché è sospettabile che un Ministro dall’accento piemontese o lombardo-veneto preferisca esaudire le istanze del suo territorio, come fatto sinora impunemente.
Con ingenuità infantile aspettiamo ancora di ascoltare questi propositi, e non altri, dai politici della destra che difende la rapacità del blocco padano, della sinistra che sfama gli appetiti delle lobby tosco-emiliano-laziali, del centro tradizionalmente padrone dell’apparato burocratico-assistenziale. Ancora nessuno ha avuto il coraggio di enunciare apertamente concetti tanto semplici quanto poco demagogici e per questo politicamente non spendibili, quando addirittura pericolosi. “Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”, scriveva George Orwell. Non è troppo tardi per una rivoluzione culturale, pacifica, “gandhiana”, in favore delle nostre sacrosante rivendicazioni.